Monte Bonifato

Monte Bonifato – il “Progetto Bunifat”

La montagna ritrovata, un  decennio  di  esperienze  di studio, ricerche  e  didattica  sul  sito indigeno  e medievale.

L’interessante  e  dettagliato progetto analizza il  Monte  Bonifato  con particolare attenzione ai vari aspetti  archeologici,  geologici-ambientali,  topografici e  architettonici con riferimento ai diversi scavi effettuati, alla cartografia, ai  rilievi e  alla morfologia. 

il “Progetto Bunifat” a pieno titolo si inserisce nell’ambito di un programma di studio e di operatività sul campo portato  avanti  prima dal  Dott.  Antonino  Filippi  e  poi dalla Dott.ssa Antonella Altese, rispettivamente ex ed attuale direttore del GAD. 

La montagna ritrovata, un  decennio  di  esperienze  di  studio, ricerche  e didattica  sul  sito indigeno  e medievale

Raccogliere in  un’unica  pubblicazione gli studi, le ricerche e  i contributi didattici relativi  al  Monte  Bonifato  è  un  lavoro  meritevole  di  attenzione  che il  gruppo archeologico”Drepanon” ha svolto nel tempo con impegno e passione.  Il Comune di  Alcamo  è attento alla  valorizzazione  dei  beni  culturali  del suo territorio e  il “Progetto Bunifat” a pieno titolo si inserisce nell’ambito di un programma di studio e di operatività sul campo portato  avanti  prima dal  Dott.  Antonino  Filippi  e  poi dalla Dott.ssa Antonella Altese, rispettivamente ex ed attuale direttore del GAD.

L’interessante  e  dettagliato progetto analizza il  Monte  Bonifato  con  particolare attenzione ai vari aspetti  archeologici,  geologici-ambientali,  topografici e  archi-

tettonici con riferimento ai diversi scavi effettuati, alla cartografia, ai  rilievi e  alla morfologia.

L’attenzione che si pone al lavoro sul campo offre la percezione della  scrupolosità del   metodo  di  lavoro  che  caratterizza  l’azione  delle  varie campagne  di scavo archeologico dirette dal Dott.  Antonino Filippi  in collaborazione con la Sovrintendenza Regionale per i  Beni  Culturali e  Ambientali di Trapani ed il coinvolgimento degli alunni dell’Istituto Tecnico per Geometri “G.Caruso” di Alcamo.

Leggere  le pagine   di questa interessante   pubblicazione invoglia il lettore ad addentrarsi in un percorso di ricerca alla scoperta di un passato che viene  ricostruito dalle descrizioni, i reperti, le testimonianze, le immagini odierne di un tempo, un territorio ed uno spazio che accoglieva una comunità viva e pulsante in evoluzione storica,  architettonica e  sociale.  Tale  realtà si connotava anche per la  fede e la tradizione  religiosa dei viaggi sulle  “Vie sacre”  e per le cosiddette   “Fiurelle” ovvero le edicole votive che supportano il culto di  Maria SS. dell’Alto, che sapientemente la Dott.ssa  Altese descrive all’interno del libro. Il  Monte  Bonifato  diventa così la testimonianza del passato di Alcamo che abbiamo il dovere di tutelare nelle  sue peculiarità  archeologiche   e naturalistiche, e, allo stesso modo, di proteggere per potere consegnare intatte,  ai nostri  figli  le testimonianze di ciò che eravamo.  Solo  essendo  consapevoli del  nostro  passato  possiamo vivere il nostro presente approcciandoci al futuro con la consapevolezza delle nostre origini.

Un  plauso  va a tutti gli autori che con le loro pagine hanno contribuito a creare il presente lavoro di grande testimonianza culturale della nostra “Montagna” e parallelamente per aver perseguito dei  grandi  obiettivi,  ovvero  stimolare nei ragazzi, l’interesse verso il patrimonio storico-artistico del territorio locale e del  Paese in genere, e incentivare la cultura del rispetto dell’ambiente naturale. Questi percorsi si legano e si intrecciano, a mio avviso, in uno sfondo integratore che è in genere “l’educazione”, portando avanti gli obiettivi trasversali della socializzazione, del lavoro di squadra,  dell’assunzione di responsabilità e della condivisione di un percorso didattico. Come  Assessore alla  Cultura e alla  Pubblica  Istruzione del Comune di Alcamo   non posso che  apprezzare  il lavoro sinergico in questi due settori, dell’Associazione “Drepanon”. In genere, viene apprezzata l’attività di tutte le associazioni  che si spendono sul territorio con passione e dedizione nell’ottica di un impegno volontario per il territorio e per la comunità. L’augurio è che il bagaglio culturale  e il vasto materiale raccolto possa costituire una ricchezza permanente e  fruibile  non solo dall’intera comunità alcamese, ma da chiunque si avvicina con spirito di ricerca e di conoscenza verso questa meravigliosa risorsa che è il Monte Bonifato.

Dott.ssa Selene Grimaudo

Assessore alla Cultura e alla P.I. del Comune di Alcamo

Prefazione

La pubblicazione di questo volume, dal titolo “BONIFATO, LA MONTAGNA RITROVATA. Un decennio di esperienze di studio, ricerche e didattica sul sito indigeno e medievale”, fortemente voluto dal Gruppo Archeologico Drepanon dei Gruppi Archeologici d’Italia, diretto da Maria Antonina Altese, con il contributo e il patrocinio del Comune di Alcamo, costituisce un ulteriore tassello della ricerca scientifica condotta nel territorio dalla Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali di Trapani. In verità, come si legge già nelle prime pagine, tutto nasce dal forte desiderio della variegata équipe di ricercatori di celebrare un anniversario importante, considerato che le indagini sul monte iniziano nel 1996. Non sono molte le imprese archeologiche avviate nello scorso secolo in Europa o nel Mediterraneo che hanno saputo mantenere vivo entusiasmo e interesse per un sito antico lungo un così ampio arco di tempo. La Soprintendenza di Trapani ormai da tempo porta avanti un corposo programma di ricerca scientifica sul territorio pluristratificato dell’occidente siciliano, attivando lavori di ricerca scientifica nelle aree archeologiche demaniali, con la collaborazione internazionale di numerose Università e prestigiosi Enti di ricerca. Secondo quanto recita l’articolo 9 della nostra Costituzione repubblicana (La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione) sviluppo, ricerca, cultura, patrimonio formano un tutto inscindibile; anche la tutela, concepita non in senso di passiva protezione, ma in senso attivo, e cioè in funzione della cultura dei cittadini, deve rendere questo patrimonio fruibile da tutti. Il caso della ricerca a Monte Bonifato si sviluppa con un largo e differenziato spettro di attori, che sono stati coinvolti nello svolgimento di attività diverse: la Soprintendenza ha sempre garantito la cornice scientifica istituzionale e direzionale indispensabile ad agire, gli Enti locali (Comune di Alcamo e Provincia Regionale di Trapani) hanno fornito assistenza, risorse e contributi di collegamento con il territorio rappresentato dall’Associazionismo (Circolo di Alcamo di Legambiente, Sezione di Alcamo dell’Archeoclub d’Italia, Sezione di Alcamo della LIPU, Gruppo Archeologico Drepanon dei Gruppi Archeologici d’Italia) e dalla Scuola (Istituto Tecnico Statale “Girolamo Caruso” di Alcamo). 7 Le valenze didattico-formative, il significato professionale della ricerca confluiscono nel volume che qui presentiamo, dove sono raccolti tutti i contributi anche molto diversi tra loro, ma utili nell’insieme a definire la storia, i risultati e il possibile futuro di un’esperienza di ricerca e le difficili condizioni della sua attuale e futura gestione. Grazie alle meritoria iniziativa di Antonino Filippi, comincia nel 1996 la sistematica esplorazione del Monte Bonifato con tre successivi campi di ricerca archeologica organizzati dal circolo alcamese di Legambiente (1996, 1997, 1998) e due campi scuola (Archeoclub d’Italia e LIPU, 2000- 2001). A seguito della fondazione nel 2006 del Gruppo Archeologico Drepanon, sede locale dei Gruppi Archeologici d’Italia, nasce nel 2007 il “Progetto Bunifat” (2007, 2008, 2009, 2010). Nel corso degli anni la ricerca scientifica fu prerogativa del Servizio Archeologico della Soprintendenza di Trapani, diretto da chi scrive, con la collaborazione sul campo dei colleghi Paolo Barresi e Pierfrancesco Vecchio. Assume aspetto di particolare rilevanza l’impatto del “Progetto Bunifat” in termini di formazione delle nuove generazioni. Questa valenza didattica delle attività di ricerca trova riscontro infatti nel protocollo d’intesa sottoscritto fra il Gruppo Archeologico Drepanon, diretto da Antonino Filippi, e l’Istituto Tecnico “G. Caruso” di Alcamo, diretto da Vincenza Romano (2008, 2009, 2010). Prendendo le mosse proprio dalle labili testimonianze dell’insediamento antico, come eloquenti testimoni della travagliata storia della città e, nello stesso tempo, come la definizione fisica della città costruita, gli studi hanno man mano abbracciato tutti gli aspetti dell’impianto urbanistico. Lo stato delle rovine difficilmente leggibili nelle loro caratteristiche essenziali aveva a lungo ostacolato la loro vera comprensione. Solo un rilevamento il più meticoloso possibile sia delle rovine in situ sia dei disiecta membra, verificato da alcuni saggi di controllo, eseguiti con delle moderne metodologie di scavo, poteva promettere dei progressi nella conoscenza del sito. In verità era proprio il cattivo stato di conservazione delle deboli strutture, dettagliatamente descritte in questo volume da Maria Antonina Altese, che richiedeva la realizzazione di un rilievo per creare una fedele documentazione delle strutture esistenti, con l’entusiasmo di un gran8 de numero di giovani studenti i quali realizzarono, grazie alla dedizione dei loro insegnanti (Angelo Vitale e Antonio Bambina) la complessa documentazione. Il risultato complessivo del lavoro ci offre ora un quadro complessivo delle strutture e degli aspetti geomorfologico-ambientali, geologici, tettonici ed idrogeologici del rilievo di Monte Bonifato, che rende questo volume una monografia documentaria del sito. Più direttamente rivolta alla conduzione delle ricerche archeologiche è invece la sezione del volume di cui sono protagonisti quanti direttamente impegnati nello scavo (Paolo Barresi, Carmela Cipolla, Claudia Filippi, Luana Poma, Pierfrancesco Vecchio): i materiali ceramici presentati in questa sede e le loro definizioni cronologiche sono frutto di uno studio preliminare; ulteriori e più approfondite ricerche, nell’ottica di una pubblicazione sistematica e complessiva dello scavo, potranno in futuro precisare meglio gli ambiti produttivi e temporali del patrimonio ceramico e materiale di monte Bonifato. Pare opportuno concludere con una riflessione sulla difficile individuazione delle linee guida per dare forma al molto lavoro che ancora attende, fondamentale per delineare politiche e strategie sulla gestione dell’area e decisive per il suo stesso futuro ma anche per riflettere sul problema strettamente operativo della conservazione e della valorizzazione della città antica. Appare evidente a tutti infatti che, nell’attuale congiuntura economica, solo legando le prassi della ricerca alle attese di valorizzazione e di fruizione sarà possibile agire ancora sul terreno, non con larghezza di mezzi ma forse con le risorse sufficienti per sopravvivere nel difficile cammino che attende la ricerca scientifica nel nostro paese.

Dott.ssa Rossella Giglio Cerniglia

Dirigente Sezione per i beni archeologici Soprintendenza per i beni culturali di Trapani 

Premessa

L’orografia della Sicilia occidentale è costituita, nella quasi totalità, da dolci colline e fra queste emergono alcune cime più alte, come monte Bonifato, il rilievo che sovrasta la città di Alcamo; esso, nella sua mole, contiene dei “tesori” donati dalla natura o da scoprire, lasciati dalle popolazioni che, nei secoli, si sono succedute. I “tesori” della natura sono similari a quelli delle altre montagne trapanesi; ma le testimonianze delle varie popolazioni passate rendono unico il territorio di Monte Bonifato. Cominciai a conoscere le tracce del passato sul Monte Bonifato quasi dieci anni fa, quando l’amico Antonino Filippi mi propose un suo progetto iniziale, teso a far conoscere, tutelare e salvaguardare il patrimonio archeologico e storico-artistico del nostro territorio, che si è concretizzato con la fondazione del Gruppo Archeologico “Drepanon”, nel 2006. L’esperienza del gruppo trapanese ha trovato, poi, più ampia attuazione con la nomina di Filippi a Direttore dei G.A. Regionali della Sicilia, conferendo ad essi un prestigio a livello nazionale. Il Prof. Antonino Filippi è stato l’ideatore ed il promotore di una ricerca scientifica con il Progetto Bunifat, dal 2007 al 2010, sotto la direzione scientifica della Soprintendenza per i BB.CC.AA di Trapani e con la partecipazione del Comune di Alcamo. Tale progetto ha interessato un geologo e conoscitore del territorio, un’equipe di archeologi, una scolaresca dell’Istituto Tecnico per Geometri ed alcuni soci volontari del G.A.D., con scavi per indagini archeologiche nell’area del monte Bonifato volte a risolvere le numerose incognite relative all’abitato antico e medievale nel corso dei secoli, al fine di giungere alla elaborazione e pubblicazione di questo libro contenente i documenti delle fasi storiche di frequentazione del sito. I saggi di scavo sono stati eseguiti in aree diverse del Monte e sono stati coadiuvati da studi geologici condotti dal Dott. Antonio Bambina, geologo e paleontologo, da un’equipe di archeologi, come i Dottori Pierfrancesco Vecchio, Carmela Cipolla, Claudia Filippi, Luana Poma e lo stesso Antonino Filippi, ma anche dal Dott. Paolo Barresi, per gli scavi medievali. Il progetto prevedeva anche un intervento didattico, con studi topografici, rivolto agli studenti dell’Istituto Tecnico per Geometri “G. Caruso” di Alcamo, guidati dal Prof. Ing. Angelo Vitale. Dopo lo studio “in 11 campo” con appunti, rilievi grafici e fotografici, si è passati all’operazione successiva con la raccolta, la pulitura, la schedatura e la catalogazione dei reperti archeologici, tutto ciò a cura delle Dottoresse Carmela Cipolla e Luana Poma; i reperti in oggetto sono attualmente conservati dalla Soprintendenza al Museo “Baglio Anselmi” di Marsala. Il Gruppo Archeologico Drepanon ha promosso i risultati delle campagne di scavo e degli studi del Progetto Bunifat e li ha presentati in forma grafica (pannello e pieghevoli) e multimediale (documentario) partecipando in numerosi, tra il 17 e il 20 Novembre 2011, alla XIV Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico di Paestum, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica. Le esperienze maturate hanno fatto sì che il Gruppo Archeologico Drepanon, sotto la direzione della scrivente, dalla seconda metà del 2011 ha continuato le molteplici attività sul Monte Bonifato proponendo visite guidate, come quelle svolte in occasione della 10ª edizione delle “Giornate di Archeologia Ritrovata dei Gruppi Archeologici d’Italia”, nata con l’intento di “salvare e promozionare quei beni culturali che rappresentano i tasselli più importanti per ricostruire la storia del nostro territorio”. In tale occasione, il 12 e 13 Ottobre 2013, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, abbiamo avuto modo di divulgare la conoscenza dei luoghi oggetto di scavo con la presenza sul Monte Bonifato di scolaresche della città di Alcamo e di autorità territoriali, con conferenze, proiezioni video e archeotrekking. Inoltre, va sottolineato che tra il G.A.D. e il Comune di Alcamo, pur con il susseguirsi delle Amministrazioni, dal 2006 ad oggi c’è stata sempre una condivisione di intenti che ha portato, nel 2013, alla elaborazione di un protocollo d’intesa tra lo stesso Comune di Alcamo (rappresentato dall’Assessore alla Cultura di allora, la Dott.ssa Elisa Palmeri), e la Soprintendenza BB.CC.AA. di Trapani (rappresentata dalla Dott.ssa Rossella Giglio), per la pubblicazione multimediale e a stampa di un testo scritto a più mani, contenente i documenti delle fasi storiche di frequentazione del sito. Oggi con la nuova nomina dell’Assessore alla Cultura e alla Pubblica Istruzione, Dott.ssa Selene Grimaudo, continuano – così come è auspicabile per il futuro – le collaborazioni con soddisfacente risultato. Monte Bonifato, anno dopo anno, è diventato un luogo importantissimo e averlo ‘scalato’ significa affrontare e superare ogni ostacolo che nel 12 percorso è inevitabile incontrare. È arrivato il momento di raccontare l’esperienza vissuta e le attività svolte, ed è quello che io ed i miei amici abbiamo realizzato negli scritti di questo libro. Ringraziamenti Ringrazio Antonino Filippi, principalmente per la fiducia dimostratami sin da quando ho avuto affidato l’onere e l’onore di condurre l’Associazione. Un particolare ringraziamento a quanti si sono impegnati nelle attività di scavo, mettendo a disposizione le proprie conoscenze, dimostrando spirito di scoperta e sfidando le afose giornate di luglio e agosto: Antonino Filippi, Pierfrancesco Vecchio, Antonio Bambina, Paolo Barresi, Claudia Filippi, Luana Poma, Carmela Cipolla e tutti i volontari archeologi o semplici partecipanti, compresi gli allievi dell’Istituto Tecnico per Geometri “Caruso” guidati dai rispettivi insegnanti per i rilievi topografici svolti nell’attività di scavo sul monte Bonifato; inoltre, il mio ringraziamento va agli alunni delle seguenti Scuole di Alcamo: Istituto Comprensivo “Bagolino”, Istituto Comprensivo “Navarra”, Istituto Tecnico per Geometri “Caruso”, Liceo “Allmayer”, per la partecipazione alla 10ª edizione delle “Giornate di Archeologia Ritrovata”. Un ringraziamento va all’Amministrazione Comunale della Città di Alcamo per aver creduto nelle nostre attività e per essere stata sempre presente in ogni manifestazione; alla Dott.ssa Rossella Giglio, Dirigente del Servizio Archeologico della Soprintendenza di Trapani, per aver autorizzato e sostenuto il “Progetto Bunifat” ed aver stipulato il protocollo d’intesa con il Comune di Alcamo; alla Dott.ssa Giuseppina Mammina, della Soprintendenza di Trapani, per la disponibilità. Ringrazio ancora Antonio Bambina per la pazienza ed i preziosi consigli nell’impaginazione del libro. Inoltre un ringraziamento è per Gaspare Virgilio, per il sostegno nell’elaborazione del libro, e per Giovanni Montanti che, nella qualità di titolare della casa editrice Il Sole, ha curato il delicato lavoro di correzione delle bozze. Infine, ringrazio Silvio Piazza, titolare di Quick service, e Officina Grafica, rispettivamente impegnati nell’impaginazione e nella stampa di questo volume.

Arch. Maria Antonina Altese Direttore del Gruppo Archeologico Drepanon 

Il progetto Bunifat

Il Progetto Bunifat nasce nel 2007 con l’obiettivo di far conoscere, valorizzare e rendere fruibili i beni culturali considerati, a torto, “minori”, del nostro territorio. Il sito scelto per svolgere tale iniziativa fu il monte Bonifato di Alcamo, dove, già nel 1996, era stato organizzato un primo campo di ricerca archeologica dal circolo alcamese di Legambiente. L’attività del campo-scuola coincise, in quello stesso anno, con la pubblicazione di un mio volumetto dal titolo Antichi insediamenti nel territorio di Alcamo, nel quale tentavo di delineare un primo quadro storico-archeologico relativo al territorio alcamese. La pubblicazione del libro e l’organizzazione del primo campo di ricerca aprirono la strada ad un triennio di collaborazione con la Soprintendenza ai BB.CC.AA. di Trapani, durante il quale fu condotta una prima sistematica esplorazione del monte. L’esperienza dei campi-scuola per volontari sul Bonifato fu ripresa nel 2000 da un nuovo campo, organizzato questa volta dall’Archeoclub di Trapani-Erice. In quell’occasione furono aperti i primi saggi di scavo in vari punti del monte, sia lungo la cinta muraria che nell’area dell’abitato. Per tale attività, così come era avvenuto nel 1997, durante lo studio della necropoli, la Soprintendenza incaricò il dott. Pierfrancesco Vecchio quale responsabile sul campo, con il quale collaborai nel corso dei lavori. In seguito, nel 2001, nell’ambito del campo naturalistico organizzato dalla LIPU, sezione di Alcamo, venne richiesta alla Soprintendenza l’autorizzazione alla pulizia di superficie delle strutture murarie del Castello dei Ventimiglia e alla realizzazione di un limitatissimo saggio all’interno della torre nord-orientale del fortilizio. I risultati delle attività del 2001, che ebbi la possibilità di seguire, sotto la direzione scientifica del prof. Sebastiano Tusa, furono pubblicati l’anno successivo nel volume XXIX della rivista Archeologia Medievale. A queste prime indagini seguì un periodo di interruzione delle ricerche, fino a quando, nel 2005, l’amico Antonio Bambina mi mostrò una aerofotogrammetria del sito risalente agli anni ‘40 del novecento (nella quale, in assenza della copertura boschiva sulla cima del monte, erano ancora perfettamente visibili i resti dell’abitato medievale), inducendomi ad interessarmi nuovamente del monte Bonifato. Dopo un fallito tentativo di sponsorizzazione per eseguire la restituzione cartografica del fotogramma, sulla quale avremmo potuto lavorare nel tentativo di ricostruire la città abbandonata nel medioevo sul Bonifato, ritenni che era necessario, con il supporto di un gruppo di amici e appassionati di archeologia e storia del territorio, ripren15 dere le ricerche sul monte organizzando un progetto che, rispetto le precedenti esperienze, avvesse una diversa fisionomia. L’idea era di coniugare all’attività di ricerca scientifica quella didattica attraverso la stretta collaborazione fra associazione di volontariato, Soprintendenza e le scuole del territorio. Nel marzo del 2006 nacque il Gruppo Archeologico Drepanon, sede locale dei Gruppi Archeologici d’Italia, associazione che ebbi l’onore di dirigere fino al maggio del 2011 e, già nell’estate del 2007, sul monte Bonifato venne organizzato il Progetto Bunifat, le cui ricerche ripartirono proprio dal Castello dei Ventimiglia dove, nel 2001, erano state sospese. Nel corso dei quattro anni di attività del Progetto, durante i quali mi occupai dei diversi aspetti organizzativi, la ricerca scientifica fu prerogativa del Servizio Archeologico della Soprintendenza di Trapani, diretto dalla dott.ssa Rossella Giglio, la quale si avvalse, per seguire le attività sul campo, di collaboratori esterni: il dott. Paolo Barresi, nel 2007, e il dott. Pierfrancesco Vecchio, negli anni 2008-2010, coadiuvati, per quasi tutto il corso delle ricerche, dalla dott.ssa Claudia Filippi. Nel 2008 e per i due anni successivi del Progetto Bunifat fu sottoscritto un protocollo d’intesa fra il Gruppo Archeologico Drepanon e l’Istituto Tecnico “G. Caruso” di Alcamo, avviando così il progetto didattico. In aggiunta, l’Istituto scolastico attuò anche un progetto PON che consentiva la partecipazione, nel periodo estivo, ad un gruppo di studenti frequentanti il triennio conclusivo del corso per Geometri. Tale progetto, che aveva come principale obiettivo il rilievo topografico delle emergenze murarie visibili sul monte, al fine di raccogliere i dati utili per ricostruire virtualmente l’abitato antico, fu curato dal prof. Angelo Vitale, a quel tempo docente di topografia presso l’Istituto “Caruso”, e dal dott. Antonio Bambina, che si occupò del rilievo geomorfologico dell’area. Il Progetto Bunifat si concluse nell’estate del 2010. Da quel momento, con discontinuità, iniziò lo studio dei materiali e l’elaborazione dei dati di scavo che, preliminarmente, per quanto riguarda la fase protostorica, sono stati argomento della mia tesi di laurea specialistica in Archeologia. In seguito, un gruppo di lavoro composto dagli archeologi Pierfrancesco Vecchio, Carmela Cipolla e Luana Poma e, per quanto riguarda la fase medievale, Paolo Barresi, ha iniziato lo studio dei materiali, i cui risultati sono esposti in questo volume che, è bene sottolineare, è frutto della caparbia ostinazione di Antonella Altese, la quale, succedutami alla direzione del Gruppo Archeologico Drepanon, ha fermamente continuato a credere nelle finalità educative del Progetto Bunifat, quale positivo esempio di attività di conoscenza, studio e tutela del territorio.

Antonino Filippi 

Gli studi di archeologia del territorio di Alcamo

Le prime notizie riguardanti le antichità del territorio di Alcamo risalgono alla seconda metà del XVI secolo, quando lo storico saccense Tommaso Fazello, il primo vero “esploratore” della Sicilia antica, segnalava le rovine dell’abitato sul monte Bonifato. Alcuni decenni dopo, il geografo Filippo Cluverio identificava sul Monte la statio romana di Longarico, indicata, lungo la via consolare fra Panormo e Lilibeo, nello stradario di età tardo imperiale, noto come Itinerarium Antonini. L’ipotesi del Cluverio venne successivamente accolta da tutti gli storici fino alla seconda metà del XX secolo, quando alcuni studiosi, sulla base di plausibili motivazioni, tentarono di confutare tale tesi, cercando di identificare, in realtà solo sulla scorta di generici riscontri archeologici, i resti della statio romana nelle vallate sottostanti il Bonifato. Agli inizi del XVIII secolo, il Massa, nel suo studio storico-geografico dal titolo La Sicilia in prospettiva, dava le prime indicazioni del sito in chiave “archeologica”, parlando di “alcune anticaglie” che si rinvenivano “per avventura di Locarico, Città hoggi disfatta”. Sul finire dello stesso secolo, le rovine del castello posto sulla cima del monte attrassero l’attenzione del Principe di Torremuzza, che nel 1779 inserì il fortilizio sul Bonifato nel Plano di conservazione dei Beni Culturali della Sicilia. Più o meno negli stessi anni, lo storico alcamese Ignazio De Blasi, nel suo Discorso storico della opulenta città di Alcamo, tracciava una prima significativa descrizione del vasto campo di rovine che insistevano sul Bonifato, e riportava le notizie su alcuni resti archeologici, fra i quali due iscrizioni latine (la cui provenienza, alla luce delle nostre attuali conoscenze, appare assai dubbia), e una moneta araba. Nel XIX secolo sarà lo storico Vincenzo Di Giovanni, attento conoscitore delle antichità di questa parte della Sicilia, a descrivere materiali antichi provenienti dal monte Bonifato e dal territorio circostante e, in seguito, Pietro Maria Rocca raccoglierà nel territorio alcamese alcuni reperti, soprattutto lucerne e bolli di laterizi di età romana, donandoli al Museo Archeologico Nazionale di Palermo, dove tutt’ora sono custoditi. Nel 1899 l’archeologo Paolo Orsi, e nel 1917 il marchese Antonio De Gregorio, segnalavano i ritrovamenti di reperti litici lungo il fiume Fred17 do, mettendo in luce le prime testimonianze preistoriche nel territorio di Alcamo. Particolare rilievo scientifico ebbe la scoperta, segnalata dall’Orsi, di un’ascia in selce, oggi conservata nel Museo Archeologico di Siracusa, ritenuta in seguito indizio di un popolamento dell’area nel Neolitico. Nei primi anni ‘70 del novecento, le ricerche condotte lungo il fiume Freddo dallo storico Carmelo Trasselli condussero alla scoperta di una fattoria di epoca romana in contrada Sirignano e al recupero, in altre due località vicine, di alcune monete di età romano-imperiale. Negli stessi anni, il prof. Camillo Filangeri segnalava il ritrovamento di ceramiche “elime” sul monte Bonifato che l’Autore, seguendo la tradizione storica, identificava con la Longarico romana. Nel 1985 Vittorio Giustolisi, in uno dei suoi numerosi studi sull’antica topografia della Sicilia, contribuiva a definire meglio, in base a rinvenimenti di superficie di materiale ceramico, le varie fasi di vita degli insediamenti posti sul monte Bonifato e nell’area del castello di Calatubo, identificando la città sul Bonifato con la fantomatica Elima, centro eponimo degli Elimi. Pochi anni dopo, Leonardo D’Asaro, in un lavoro di analisi storica del mito riguardante la spedizione del cretese Minosse in Sicilia e del suo incontro con il re sicano Cocalo, ipotizzava che i luoghi della saga fossero da ricercare nel territorio di Alcamo, affermando che proprio monte Bonifato era stata la sede dell’antica Camico, l’imprendibile reggia di Cocalo, edificata dal famoso architetto Dedalo. Nel 1996, con la pubblicazione di Antichi insediamenti nel territorio di Alcamo, ad opera di chi scrive, si tentava, per la prima volta, di ricostruire la storia del territorio alcamese attraverso la lettura dei dati archeologici che emergevano in superficie. Lo studio evidenziava almeno sei principali fasi di vita: 1) un diffuso popolamento del territorio in epoca preistorica, specie lungo le valli fluviali del Freddo e del Calatubo; 2) l’accentramento della popolazione nel corso dell’età del Ferro sul Bonifato; 3) l’abbandono del Monte e la realizzazione di un sistema di insediamenti rurali fra la tarda età Classica e la prima età imperiale, periodo durante il quale si costituirono grossi insediamenti agricoli, soprattutto lungo il corso dei principali fiumi e dei percosi viari, corrispondenti alle attuali Regie Trazzere; 4) una fase non chiaramente percepibile dai dati archeologici relativa Gli studi di archeologia del territorio di Alcamo 18 ai secoli VIII-X d.C.; 5) un nuovo incremento dell’insediamento rurale nei secoli XI-XII; 6) l’accentramento della popolazione nei siti di Bonifato e Calatubo, fra il XII e gli inizi del XIV secolo, periodo, quest’ultimo, durante il quale la popolazione si trasferirà definitivamente nel sito dell’attuale centro storico di Alcamo. Lo studio del territorio alcamese è proseguito nei primi anni del XXI secolo grazie al lavoro di Ignazio Messana, che ha apportato nuovi dati a conferma del quadro storico-archeologico già descritto, ma anche con significativi e inediti contributi, in particolare, grazie alla scoperta dell’importante sito sul monte Firricino, probabilmente un santuario relativo ad età tardo-arcaica o alla prima età Classica. Infine, nel territorio di Alcamo, di grande interesse si sono rivelati gli scavi archeologici condotti negli anni 2003-2005 dal prof. Dario Giorgetti dell’Università di Bologna nel sito di Contrada Magazzinazzi (Alcamo Marina), dove è venuto alla luce un importante complesso industriale per la fabbricazione di laterizi di età romano-imperiale. 

Antonino Filippi 

Bibliografia essenziale:

GIUSTOLISI V., Nakone ed Entella, Palermo 1985. D’ASARO L., Minosse e Cocalo. Mito e storia nella Sicilia Occidentale, Palermo 1991. FILIPPI A., Antichi insediamenti nel territorio di Alcamo, Alcamo 1996. MESSANA I., Demetra ad Alcamo, Alcamo 2009. GIORGETTI D., GONZÀLES MURO X., Le fornaci romane di Alcamo, Imola 2011. FILIPPI A., Preistoria e protostoria trapanese, Trapani 2014.

Aspetti geologico-ambientali del rilievo di Monte Bonifato

Il rilievo di Monte Bonifato (825 m s.l.m.), alla cui sommità sorge il Castello dei Ventimiglia, si erge in maniera decisa rispetto al sistema collinare dell’entroterra del Golfo di Castellammare ed è ubicato tra i rilievi di Monte Inici (1.065 m s.l.m.) ad Ovest ed il complesso dei Monti di Palermo ad Est (750 m s.l.m.); è compreso, inoltre, tra le vallate del Fiume Freddo – San Bartolomeo ad Ovest ed il Fiume Jato a Est. Monte Bonifato domina il ripiano su cui sorge il centro abitato di Alcamo (260-300 m s.l.m.) costituito in larga parte da un affioramento di travertini, dai limiti ben definiti e netti, del Pleistocene medio che presentano una geometria tabulare e che passa inferiormente alle formazioni argillo-marnose e argillo-sabbiose delle Marne di San Cipirello e della Formazione Terravecchia. Geograficamente il rilievo di Monte Bonifato risulta compreso tra i paralleli aventi Lat. 37°56’00” N e 37°58’20” N ed i meridiani aventi Long. 12°56’00” E e 12°58’20”E; nel sistema WGS84 UTM ricade nella zona 33S (vedi Tavv.1 e 11 in appendice). Dal punto di vista cartografico ricade nel Foglio IGMI 606 “Alcamo” a scala 1:50.000 (edizioni 1860, 1974 serie M792), nelle tavolette IGMI ”Alcamo”, Foglio 258 IV NO e “Segesta”, Foglio 257 I NE alla scala 1:25.000 (edizioni 1941, 1970 serie M891 Ed. 2). A partire dal 1987 l’Assessorato del Territorio e dell’Ambiente della Regione Sicilia ha prodotto delle rappresentazioni cartografiche alla scala 1:10.000 (sezioni 606040 “Alcamo – Monte Bonifato” e 606080 “Pizzo Montelongo”). Catastalmente il rilievo di Monte Bonifato ricade nel Comune di Alcamo nei fogli: XCVII (Fastuchera S. Nicola), LXXXVIII (Tre Santi–Fastuchera), LXXXIX (San Nicola), LXXII e LXXIII (Versante Nord-Est), LXIX e LXX (Versante Nord-Occidentale) e LXXI (Versante Settentrionale). LINEAMENTI GEOLOGICI E TETTONICI La fascia Nordoccidentale della Sicilia è costituita dalla sovrapposizio21 ne tettonica di formazioni calcaree e dolomitiche che prende il nome di “catena appenninico-maghrebide” e costituisce i sistemi montuosi principali del Trapanese e del Palermitano. A partire dalla fine dell’Oligocene (23 M.a.) iniziano le deformazioni, prima collisionali e poi distensive, in tutta la catena e si protraggono sino al Pleistocene inferiore (1,8 M.a); il bacino tirrenico tende ad assottigliarsi e spinge verso i quadranti meridionali le formazioni già depositate nel settore del Golfo di Castellammare comportando il sovrascorrimento delle formazioni l’una sull’altra con conseguente elevazione delle strutture. A partire dall’oligo-miocene si forma la struttura della “catena” ad iniziare dalle porzioni più settentrionali e coinvolgendo solo successivamente quelle più meridionali. Si è avuta un’intensa deformazione di tipo collisionale che ha generato le maggiori strutture da sovrascorrimento in rampa con la sovrapposizione geometrica di corpi carbonatici l’uno sull’altro; le successioni carbonatiche presenti sono riconducibili ad ambienti tipici di piattaforma carbonatica (ambiente sedimentario di mare poco profondo) formatisi tra il Mesozoico ed il Terziario. Le spinte provenienti da Nord hanno coinvolto anche le formazioni che si andavano depositando, comportando quindi un complesso quadro di sovrapposizioni formazionali. Durante le fasi di stazionamento alto del mare si genera una superficie sub-pianeggiante incisa nei terreni più antichi di età mesozoico-terziaria appartenenti alle unità Trapanesi; durante tale fase si depositano i sedimenti conglomeratici e arenitici di spiaggia. Il progressivo abbassamento del livello marino, dovuto a variazioni eustatiche ed al generale sollevamento tettonico dell’intero settore, ha dato luogo ad una successione di piattaforme di abrasione, disposte a varie quote, che hanno generato una serie di ripiani, noti con il nome di “terrazzi marini”. In particolare, Monte Bonifato evidenzia una struttura carbonatica monoclinalica allungata in senso Nord-Sud, con immersione verso i quadranti meridionali. Questa struttura è caratterizzata da versanti molto acclivi e pareti subverticali nelle porzioni meridionali, mentre a Nord ed a Nord-Ovest la morfologia del pendio è più regolare e meno ripida. Il versante occidentale del rilievo, invece, risulta dominato dal controllo tettonico esercitato dalla presenza di faglie con direzione Nord-Sud che hanno dislocato i terreni affioranti e determinato l’origine di pareti subverticali. L’azione congiunta tra controllo di tipo tettonico e attività morAspetti geologico-ambientali del rilievo di Monte Bonifato 22 foselettiva ha prodotto, alla base del rilievo stesso, l’accumulo di un elevato spessore di detrito di falda. Stratigraficamente, dal più antico al più recente, è possibile definire la successione di formazioni mesozoico-paleogeniche che costituiscono il rilievo del Monte Bonifato (Basilone, 2012; Bommarito et alii, 1995; Mauz & Renda, 1996): “Formazione Sciacca” (Norico – Retico) – Costituisce la struttura sepolta del versante orientale del rilievo di Monte Bonifato ed è rappresentata da dolomie bianche, fratturate e carsificate, e calcari dolomitici grigiobiancastri in strati metrici. La dolomitizzazione risulta molto spinta al punto da conferire alla formazione un aspetto massivo e poco stratificato; gli ambienti sedimentari sono quelli subtidali o di piana tidale. Il limite inferiore non affiora mai mentre il limite superiore è rappresentato da una superficie di paraconcordanza o eteropica con i depositi della Formazione Inici (Antonelli et alii, 1991). “Formazione Inici” (Hettangiano – Sinemuriano) – Affiora nel versante Est (ex cava di C/da Tre Noci) tra le quote 350 – 550 metri s.l.m. È costituita da calcari e calcari dolomitici bianchi ad alghe e molluschi, cui si alternano calcari stromatolitici e loferitici (Rigo & Cortesini, 1961; Catalano et alii, 2011). Nella porzione più alta della formazione si osservano livelli centimetrici di croste nerastre a composizione ferromanganesifera, dislocati da fratture e faglie sinsedimentarie riempite da calcilutiti rossastre e nocciola ad ammoniti giurassiche e calcilutiti cretacee a foramminiferi planctonici. Le croste ferromanganesifere rappresentano una superficie di discordanza regionale con i calcari a crinoidi o i calcari rossastri ammonitiferi della sovrastante Formazione Buccheri. “Formazione Buccheri” (Liassico superiore – Titonico inferiore) – Affiora nel versante Est di Monte Bonifato ed è costituita da depositi, meglio noti come “Rosso Ammonitico”, costituiti da calcilutiti dalla colorazione rossastra e dalla tessitura nodulare con faune ad ammoniti diffuse, calcari nodulari con sottili livelli lenticolari di radiolariti e mudstone a radiolari di colore grigio o bruno (Patacca et alii, 1979; Di Stefano et alii, 2002). Nella porzione basale possono essere presenti livelli di hardgrounds. Costituita in affioramento da tre membri, dal basso verso l’alto, si distinguono Rosso Ammonitico Inferiore, Membro Radiolaritico Inferiore e Rosso Ammonitico Superiore con intercalazioAntonio Bambina 23 ni di basalti (pillow lava) e ialoclastiti. Superiormente i depositi della Lattimusa possono stare in contatto netto o paraconcordante o in graduale transizione. L’ambiente deposizionale è quello pelagico con ambienti di scarpata dove si verificano le intercalazioni di livelli ferromanganesiferi condensati dall’aspetto nodulare e con spessori compresi tra 5 e 15 metri. “Formazione Lattimusa” (Titonico superiore – Valanginiano inferiore) – Affiora sul versante Est di Monte Bonifato e in alcuni punti del Vallone Balatelle; inserita tra le unità formazionali nel 2007 da Cita et alii, non ne è stata mai definita la sezione tipo. Il nome è stato assegnato dai cavatori, che la utilizzavano per fini ornamentali, per il suo aspetto lattiginoso (Basilone, 2009). È costituita da calcilutiti biancastre lattiginose, bianco-verdastre e rosate con frattura concoide e presenza di liste e noduli di selce nerastra con marne calcaree; si presenta sottilmente stratificata con interstrati sottili marnosi. Questa unità era nota come “Calcari a calpionelle” nell’ambito del membro Busambra della Formazione Alcamo (Rigo & Barbieri, 1959). Il contenuto fossilifero è costituito da brachiopodi, crinoidi, echinidi, aptici, ammoniti e belemniti. “Formazione Hybla” (Aptiano – Albiano) – Affiora ad Est della sommità di Monte Bonifato, sopra l’ex cava Tre Noci. Originariamente Rigo & Barbieri (1959) avevano inserito questo termine nella Formazione Alcamo, successivamente fu elevata a Formazione da Patacca et alii (1979). Si tratta di calcilutiti marnose grigiastre con liste e noduli di selce sottilmente stratificate, note come “marne ad aptici”, in alcuni casi tendenti a strati laminati in alternanza con marne argillose grigio-verdastre con livelli metrici dalla tipica colorazione scura o nerastra. Depositata in continuità sulla sottostante Formazione Lattimusa, presenta superiormente un passaggio in paraconcordanza alla Formazione Amerillo. L’ambiente deposizionale è riconducibile a quello pelagico ed emipelagico con fenomeni di risedimentazione di materiale intraformazionale. “Formazione Amerillo” (Cretaceo superiore – Oligocene inferiore) – Affiora lungo i versanti centroccidentali del rilievo di Monte Bonifato e costituisce una delle formazioni più estese. Nota come “Scaglia”, è costituita da calcilutiti e calcisiltiti sottilmente stratificate con liste e Aspetti geologico-ambientali del rilievo di Monte Bonifato 24 noduli di selce, calcari marnosi bianchi e rosso-grigiastri con marne verdastre ricchi di foraminiferi planctonici, biocalcareniti risedimentate con macrofoaminiferi. Superiormente è limitata da una superficie erosiva con i calcari glauconitici (Calcareniti di Corleone) o con i calcari della Formazione Bonifato. È tipica di ambienti deposizionali pelagici di mare profondo e altofondo pelagico di scarpata con fenomeni locali di risedimentazione di materiali provenienti da aree limitrofe di scarpata. Frequentemente flussi gravitativi di tipo grain flow hanno generato depositi con strutture molto deformate. “Formazione Bonifato” (Oligocene superiore) – Affiora a cava Carrubazzi e in alcune porzioni della sommità di Monte Bonifato, nonché alle sue estreme pendici Sudoccidentali. Descritta per primo da Baldacci nel 1886, Ruggieri nel 1959 descrive la successione di cava Carrubazzi, e Schmidt di Friedberg nel 1962 la introduce come unità. È costituita da calcareniti grigio-biancastre detritico-organogene ricche in foraminiferi bentonici e marne grigio-verdastre con rari granuli di quarzo arrotondato e glauconite; sono diffusi macroforaminiferi bentonici, echinoidi, coralli e pectinidi. Verso l’alto è stata osservata una tendenza ad evolvere verso livelli più marnosi ricchi di foraminiferi planctonici. A Monte Bonifato è presente una brecciola glauconifera del Langhiano (Ruggieri, 1957) che ne rappresenta il limite superiore. “Calcareniti di Corleone” (Burdigaliano – Langhiano) – Affioranti in alcuni settori nella zona alta del rilievo di Monte Bonifato (Funtanazza), sono costituite da calcareniti e calciruditi glauconitiche con tenori variabili di areniti quarzoso-glauconitiche giallastre e interessate da notevoli bioturbazioni. La particolarità di questa litologia consiste nell’alternarsi con argille scure, marne e marne siltose in certi casi dalle colorazioni verdastre o brune con livelli sabbiosi. Sono depositi di ambiente tipico di acque più o meno basse. Spesso si trovano direttamente sulla Formazione Amerillo, per una forte lacuna sedimentaria, dove è stata riscontrata una breccia basale evidente. “Marne di San Cipirello” (Langhiano superiore – Tortoniano inferiore) – E’ diffusamente presente in tutta la fascia che circonda le pendici Nordoccidentali di Monte Bonifato, mentre sul rilievo stesso affiora un unico lembo in corrispondenza della Funtanazza, tra le quote 550 e Antonio Bambina 25 650 metri s.l.m.. Unità descritta da Ruggieri nel 1966, successivamente formalizzata da Ruggieri e Sprovieri nel 1970 con sezione tipo nei pressi dell’omonimo centro abitato, è costituita da marne, argille marnose e argille di colore grigio-verdastro; presenta un elevato contenuto in carbonato di calcio, scarsa sabbia quarzosa, granuli glauconitici e pirite; intercalati, verso l’alto, si trovano livelli più ricchi in arenarie e marne quarzoso-glauconitiche. “Detrito di falda” (Olocene) – Borda quasi tutte le pendici del rilievo di Monte Bonifato, con spessori anche decametrici nelle località poste a bassa quota come in C/da Costa, C/da San Anna, C/da Mazzone, Falde Montagna sino in C/da San Nicola e Fastuchera. Si tratta di depositi clastici, eterometrici, transizionali e continentali, limitati verso il basso da superfici di erosione marina o subaerea o di non deposizione. L’azione delle acque circolanti ha prodotto la deposizione di cemento calcitico comportando un elevato grado di cementazione, maggiore verso il basso. Il detrito di falda che cinge le pendici di Monte Bonifato maschera il margine più meridionale del terrazzo marino di Alcamo (Di Maggio et alii, 2006). Le formazioni sopra descritte le possiamo riscontrare, in ordine cronostratigrafico, lungo il versante Est; risalendo verso la vetta (825 m s.l.m.), partendo dalla località Tre Noci (380 m s.l.m.), si ha la “Formazione Sciacca”, seguita dalla “Formazione Amerillo” e dalla “Formazione Bonifato”. I termini più recenti, Calcareniti di Corleone e Marne di San Cipirello, si rinvengono presso la Funtanazza, a 650 metri s.l.m.. Questo ideale percorso descrive un arco temporale di circa 200 milioni di anni in cui si sono succeduti diversi ambienti e condizioni deposizionali in concomitanza con un alternato ritmo di tettonica distensiva e compressiva che ha generato l’attuale sistema morfostrutturale del rilievo di Monte Bonifato. In particolare, le porzioni meridionali del rilievo comprese tra il Castello di Ventimiglia, Coste di San Nicola e Fastuchera, presentano versanti con pareti molto accidentate o sub-verticali, legate ad un sistema di faglie e sovrascorrimenti che hanno dislocato le varie unità geologiche. In prossimità dell’area del Castello di Ventimiglia e dell’antico centro abitato medievale, presente sulla sommità del rilievo, affiorano le calcilutiti con liste e noduli di selce con stratificazione prevalentemente Aspetti geologico-ambientali del rilievo di Monte Bonifato 26 piano parallela come descritto nell’allegata Tav. 4. Gli strati immergono verso Nord-Ovest con pendenze comprese tra 20° e 30°; sono interessati da due sistemi di faglie a decorso Nord-Sud e Est-Ovest che conferiscono all’area un aspetto a gradini sul versante esposto ad Est (Fig. 1). Lo sperone di roccia che affiora fuori le mura Sud-Est del Castello ha di certo subito delle modificazioni. Il percorso originario che portava al Castello doveva trovarsi poco più a Sud-Est rendendo più tortuoso l’accesso, come si può evidenziare dal confronto tra le allegate Tavv. 7, 8, 9, 10 (in appendice) e la Fig. 2. Nella Tav. 5, “Sezione geoarcheologica”, è rappresentato l’assetto geologico e strutturale del versante con una ricostruzione di come si doveva presentare l’affioramento roccioso. La stessa ricostruzione pittorica, proposta nella Fig. 3, riproduce un percorso di accesso non molto ampio e più tortuoso dell’attuale; oggi l’accesso al castello è, infatti, ampio e regolare (come evidenziato nella Fig. 4). LINEAMENTI IDROGEOLOGICI Le principali idrostrutture che accolgono gli acquiferi presenti nell’area di Monte Bonifato, e che hanno avuto nella storia dell’uomo importanti ricadute, presentano delle caratteristiche differenti; si distinguono un acquifero profondo nei calcari triassici, uno superficiale nella zona sommitale di Monte Bonifato e degli acquiferi secondari localizzati in corrispondenza delle falde di detrito. In particolare, l’acquifero profondo del rilievo di Monte Bonifato ha subito modificazioni significative negli ultimi periodi geologici a causa delle variazioni geometriche dei bacini di ricarica posti a Sud. Nel Pleistocene medio, dalle zone di alimentazione si infiltravano volumi significativi di acque meteoriche che, soltanto dopo aver attraversato l’intera struttura calcarea di Monte Bonifato, venivano a giorno per alimentare il sistema sorgentizio (Bambina, 2006). La presenza di un sistema di sorgenti disposto lungo le pendici settentrionali ha creato un deposito di rocce di origine chimica (travertino di Alcamo), la cui deposizione è legata alla variazione chimico-fisica a cui le acque si vennero a trovare al momento della fuoriuscita dalle sorgenti con conseguente massiccia e veloce deposizione del carbonato disciolto nell’acqua (Bambina e Culmone, 2006). Antonio Bambina 27 La presenza dell’acquifero ubicato nella zona sommitale di Monte Bonifato è evidenziata da venute d’acqua immediatamente a valle della posizione in cui sorgeva l’antico centro abitato arcaico; detto acquifero si trova in corrispondenza della presenza di terreni impermeabili capaci di trattenere le acque che si infiltrano nella porzione di una piccola idrostruttura e veniva utilizzato per il sostentamento della stessa popolazione. L’acquifero è contenuto nella formazione carbonatica immediatamente sovrastante; le relative emergenze si hanno in prossimità della Funtanazza. Infine, gli acquiferi localizzati nella fascia bassa del rilievo di Monte Bonifato danno origine a modeste manifestazioni sorgentizie a seguito del differente grado di permeabilità tra il detrito di falda e i sottostanti terreni. Un ringraziamento particolare per la collaborazione e per il supporto scientifico va a Maria Sabatino, dell’Università degli Studi di Palermo, per gli aspetti geologici, e all’architetto Ignazio Longo per l’analisi dei documenti storici. 

Antonio Bambina 

 Bibliografia essenziale :

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Progetto Bunifat: il rilievo topografico 

PREMESSA STRUMENTI TOPOGRAFICI La parola topografia ha le radici nella lingua greca e significa letteralmente «descrizione della terra». A partire dal XVIII secolo, con questo termine si suole indicare la disciplina che studia gli strumenti, i metodi e le tecniche operative che consentono la rappresentazione grafica di una porzione di superficie terrestre. Dalla nascita della topografia moderna lo sviluppo degli strumenti per la misura degli angoli, i teodoliti, e delle distanze, i distanziometri, è stato inarrestabile. Nel periodo a cavallo tra il XVIII e il XIX sec. i metodi di rilievo cominciano a essere organizzati con rigore, e gli strumenti costantemente migliorati. Il perfezionamento culmina, verso la metà dell’Ottocento, con tutto il complesso di apparati e di metodi (chiamato allora celerimensura) affidati alla tecnica topografica da un eccellente costruttore di strumenti ed uno dei padri dei moderni goniometri: Ignazio Porro (1801-1875). Siamo, ancora, in un’epoca in cui la misura degli angoli prevaleva su quella delle distanze; queste ultime si potevano ottenere per via indiretta utilizzando le relazioni geometriche che intercorrevano tra altre grandezze misurate, lineari ed angolari, o con metodi diretti, oltremodo farraginosi, che richiedevano l’utilizzo di apparati poco maneggevoli. Gli angoli, invece, si potevano misurare con elevate precisioni mediante strumenti ottico-meccanici (Teodoliti), gioielli di tecnologia, la cui messa in opera, pur esigendo una certa perizia, si conseguiva in breve tempo. A partire dagli anni ’70 del XX secolo, l’evoluzione della tecnologia elettronica ed informatica, con la relativa miniaturizzazione dei circuiti elettronici, ha rivoluzionato la concezione costruttiva degli strumenti topografici e le metodologie di rilievo; inoltre, l’affermarsi del personal computer, con il suo corredo di straordinari strumenti di calcolo e disegno automatici, ha prodotto un notevole impulso a tutta l’attività topografica. 35 Questa trasformazione tecnologica ha fatto nascere quello che oggi è considerato lo strumento basilare del topografo, ossia la “Stazione Totale”, con il quale si possono misurare sia angoli che distanze con estrema rapidità e precisione (nell’ordine di alcuni millimetri in 1 Km per le distanze e da 1 a10” per gli angoli), oltre che eseguire calcoli; esso è presente in commercio anche nella versione robotizzata, fornito, cioè, di automatismi che ne consentono l’uso a distanza mediante collegamento radio, GSM, wireless o bluetooth. Con il nuovo millennio, dai primi anni 2000, si sviluppa un nuovo sistema di misura basato sull’uso del GPS (Global Positioning System), un sistema articolato che impiega una o più costellazioni di satelliti artificiali allo scopo di effettuare rilievi topografici e geodetici. Quest’apparato, nato con scopi militari e per l’assistenza alla navigazione, ha poi ampliato le sue applicazioni all’ambito dei rilevamenti topografici grazie alla possibilità di determinare la posizione dei punti sulla superficie terrestre con una precisione che può giungere fino all’ordine del millimetro. Questo strumento, è bene sottolineare, non sostituisce il Geodimetro (Total Station), ma si integra con esso, rivoluzionando i rilevamenti topografici che fino alla sua comparsa erano basati esclusivamente sulla misura di angoli e distanze. I rilevamenti mediante l’uso del GPS si fondano, invece, sulla misura delle distanze tra l’antenna ricevente, posta sul punto da rilevare, ed un congruo numero di satelliti in orbita a circa 20.000 chilometri dalla Terra. L’utilizzo del GPS permette la determinazione diretta delle coordinate dei punti sulla superficie terrestre, rispetto ad appropriati sistemi di riferimento globali (coordinate geografiche o cartesiane geocentriche), ed inoltre consente di misurare la distanza tra punti, lontani anche decine di chilometri, senza che occorra la reciproca visibilità. Un’altra categoria di strumenti, comparsa da alcuni anni nel panorama topografico, per i rilevamenti architettonici ed archeologici, sono i Laser scanner, apparecchiature in grado di misurare rapidamente ed in modo automatico la posizione di centinaia di migliaia di punti che definiscono la sagoma degli oggetti inquadrati dall’apparecchio durante il suo funzionamento. Il risultato dell’acquisizione è un insieme di punti molto denso, comunemente denominato “nuvola di punti”, visualizzabile in un file Progetto Bunifat: il rilievo topografico 36 grafico tridimensionale. Nel rilievo archeologico-architettonico si utilizzano comunemente dei laser scanner distanziometrici. Per ogni punto lo strumento misura un angolo orizzontale (azimutale), un angolo verticale (zenitale) e una distanza inclinata; per questo motivo vengono paragonati a delle stazioni totali completamente automatizzate; tuttavia esiste una sostanziale differenza tra i due strumenti; infatti, in un rilievo tradizionale, con la stazione totale, i punti collimati devono essere ben individuati dal tecnico rilevatore e scelti tra quelli che meglio definiscono il contorno dell’oggetto da rilevare; nel rilevamento con il laser scanner, invece, il tecnico definisce solo i limiti dell’area da rilevare e la densità dei punti. Lo strumento effettua una rotazione intorno al suo asse e misura tutti i punti che ricadono nel suo campo visivo. La velocità di acquisizione è mediamente pari a circa 10.000 punti al secondo con precisioni dell’ordine di 5-10 mm. La portata massima raggiungibile con un laser scanner topografico è di circa 800-1000 metri. Un altro strumento che fa parte del corredo del topografo è il livello; costruttivamente meno complesso dei precedenti, la sua funzione è limitata alla misura dei dislivelli (distanza verticale tra due punti della superficie terrestre ovvero la loro differenza di quota rispetto ad una superficie di riferimento, comunemente il livello del mare). Esso è costituito essenzialmente da un cannocchiale disposto orizzontalmente che può ruotare attorno ad un asse verticale; la misura si effettua con l’ausilio di una o più aste graduate in centimetri (stadie), disposte verticalmente sui punti tra i quali si vuole determinare il dislivello. Di fatto il livello non è un vero e proprio strumento di misura ma un’apparecchiatura che realizza, attraverso l’asse del suo cannocchiale, una linea orizzontale con la quale si mira verso le stadie, disposte come detto. La differenza tra le due misure verticali, lette attraverso il cannocchiale, in corrispondenza di una linea di riferimento che si sovrappone all’immagine della stadia, fornisce il dato cercato. Oggi i livelli sono quasi completamente automatizzati, capaci anche di leggere un codice (simile a quello che si trova sulle confezioni dei prodotti in commercio) che sostituisce la vecchia numerazione impressa sulla stadia. I soli compiti affidati all’operatore sono quelli di disporre correttamente lo strumento e le stadie sul terreno, quindi inquadrarle con il cannocchiale e premere un pulsante. Angelo Vitale 37 IL RILIEVO TOPOGRAFICO CLASSICO La pianificazione dei lavori di rilevamento normalmente prevede una successione di operazioni che seguono un “ordine gerarchico” più concettuale che temporale. Le fasi di lavoro possono essere suddivise come appresso indicato: – Misura della Rete d’inquadramento; – Rilievo di raffittimento; – Rilievo di dettaglio. Le Reti d’inquadramento sono generalmente utilizzate per il rilevamento di grandi estensioni di territorio; si citano, per esempio: la Rete d’inquadramento dell’Istituto Geografico Militare per la realizzazione della cartografia nazionale; la Rete del Catasto (a sua volta raffittimento della Rete IGM) per la realizzazione delle mappe catastali; le Reti Regionali per l’inquadramento della Cartografia Tecnica Regionale (CTR). Altre Reti possono essere rilevate per l’inquadramento di grandi opere infrastrutturali (collegamenti stradali o ferroviari) o per il controllo delle deformazioni del suolo dovute a sismi o eventi franosi. Esse sono costituite da un numero non troppo elevato di punti che possono distanziarsi tra loro anche parecchi chilometri e geometricamente situati nei vertici di triangoli. Per meglio chiarirne il significato, si immagini una estesa griglia a maglie triangolari sovrapposta al territorio da rilevare. Ogni maglia racchiude una porzione di territorio non troppo estesa che sarà oggetto di ulteriori misurazioni, indipendenti da quelle delle altre maglie ma ad esse collegate dai vertici anzi detti. Il rilevamento dei punti che costituiscono la Rete d’inquadramento deve essere effettuato con estrema cura e precisione ed i successivi calcoli devono essere elaborati con procedure rigorose che permettano di diluire gli inevitabili errori accidentali di misura. L’accuratezza con cui si determineranno le posizioni reciproche dei punti suddetti (di fatto i pilastri del rilevamento topografico) influenzerà l’unione geometrica delle singole parti di territorio rilevate e quindi la qualità della rappresentazione grafica finale. La seconda fase, quella del rilievo di raffittimento, è concettualmente simile alla precedente e si rende necessaria in quanto, spesso, il territorio racchiuso in una maglia triangolare è ancora troppo esteso per essere misurato dettagliatamente con sufficiente precisione. Si procederà, quindi, con il considerare altri punti geometricamente e territorialmente Progetto Bunifat: il rilievo topografico 38 significativi, che costituiranno i centri di osservazione ravvicinata, ed attraverso l’uso degli appositi strumenti di misura si svolgerà la fase conclusiva del rilievo topografico, ossia quella di dettaglio. Anche in questa fase, lo schema geometrico può essere rappresentato dalle figure triangolari (si parlerà, allora, di Reti di raffittimento) i cui vertici sono collegati tra loro ed ai vertici della rete d’inquadramento mediante le misure effettuate. Oppure si può utilizzare lo schema geometrico raffigurato da una o più spezzate (poligonali) che uniscono i vertici della rete d’inquadramento. A differenza dei vertici delle reti triangolari, quelli delle poligonali si collegano solo al vertice precedente ed a quello seguente, mediante misure di distanze ed angolari. Il vantaggio delle poligonali è quello di una maggiore celerità operativa e la possibilità di pianificare un percorso che meglio si adatta al territorio da rilevare (si pensi alla difficoltà di rilevare un centro urbano o una zona alberata). Di contro, lo schema geometrico delle poligonali impiega un numero minore di misure sovrabbondanti, necessarie per elaborare e minimizzare con metodi matematici di compensazione gli eventuali errori accidentali. Infine si procede con il Rilievo di dettaglio, stazionando con gli strumenti topografici sui vertici prima menzionati. Attraverso questa fase si configura il territorio rilevato e ciò che di esso si vuol mettere in evidenza nel disegno finale (strade, edifici, confini, orografia, strutture archeologiche, siti industriali, ecc.). Nel rilievo di dettaglio le tecniche maggiormente utilizzate sono: – il rilievo per coordinate polari; – il posizionamento tramite sistemi satellitari (GPS); – la trilaterazione. Nel rilievo per coordinate polari si posiziona la Stazione Totale su uno dei vertici prima menzionati e si misurano angoli (sia orizzontali che verticali se si desidera effettuare un rilievo plano-altimetrico) e distanza, per ogni punto di dettaglio che si vuole acquisire. Per questa trattazione non si ritiene necessario approfondire gli aspetti matematici, tuttavia si vuole evidenziare che le formule che consentono di ricavare le coordinate spaziali di ogni singolo punto (posizione planimetrica ed altimetrica) derivano da semplici considerazioni geometriche, per lo più attinenti al triangolo rettangolo. L’uso del GPS per scopi topografici è una tecnica relativamente recente; ciò è stato possibile, infatti, a partire dal 2001 quando l’allora Presidente Angelo Vitale 39 degli Stati Uniti d’America ne ha concesso l’impiego per scopi civili, eliminando quelle interferenze che riducevano sensibilmente la precisione. È una tecnica particolarmente valida per determinare la posizione spaziale dei punti di riferimento (vertici di reti o di poligonali), in quanto non è necessaria l’intervisibilità tra essi; è un po’ meno congeniale per rilevare i punti di dettaglio, se questi si trovano in zone coperte da alberi, in prossimità di fabbricati o in presenza di campi elettromagnetici. Tuttavia, la praticità d’uso (la funzionalità è quasi interamente affidata ad un computer) rende questa tecnica di misura particolarmente agile, grazie anche alla costante evoluzione dei software che ne regolano l’impiego. Il tecnico incaricato delle misure ha il solo compito di poggiare lo strumento sul punto stabilito, sorretto da un bastone o da un tripode, ed attendere il tempo necessario affinché l’apparato ricevente ed il software che gestisce i calcoli forniscano la sua posizione con la necessaria accuratezza. È anche possibile visualizzare, in tempo reale, l’immagine grafica del contorno rilevato ed una serie di informazioni tecniche, molto utili per controllare il corretto svolgimento delle operazioni di misura. Nel metodo per trilaterazione si devono misurare le distanze di ciascun particolare da rilevare da due vertici di riferimento. Spesso si utilizza questa tecnica quando l’estensione dell’oggetto da rilevare non è grande. Per le misure si può utilizzare un nastro metrico della lunghezza di 20 o 50 metri (quello che usano i topografi è arrotolato attorno ad un asse girevole, manovrato da una levetta che ne consente il riavvolgimento). Da un punto di vista geometrico, per ciascun particolare si forma un triangolo la cui risoluzione permette la determinazione del punto, attraverso l’applicazione di appropriati teoremi matematici. A differenza del rilievo per coordinate polari, questa tecnica non consente di stabilire la posizione altimetrica dei punti osservati; pertanto, quando è necessaria l’informazione altimetrica si devono integrare le misure con altre ottenute, per esempio, con il livello. IL PROGETTO BUNIFAT CAMPAGNA 2008 L’attività, che interessò gli allievi delle classi 3° A e 4° A geometri Progetto Bunifat: il rilievo topografico 40 dell’Istituto Tecnico “G. Caruso” di Alcamo, nell’anno scolastico 2007- 2008, si svolse in collaborazione con il Gruppo Archeologico “Drepanon”, diretto dal dott. Antonino Filippi, e la Soprintendenza Regionale per i Beni Archeologici di Trapani, nell’ambito di una ricerca scientifica condotta per studiare l’antico abitato di Alcamo. La città di Alcamo sorge su un altopiano di 256 metri sul livello del mare alle falde del Monte Bonifato, alto 825 metri. Il monte fu abitato fin dalla tarda età del Bronzo, come testimoniano le numerose tombe a grotticella rinvenute nel corso di diverse campagne di scavi archeologici. Altre ricerche, condotte sulle pendici orientali e settentrionali della Riserva Naturale di Monte Bonifato, hanno portato alla luce i resti murari di una fortificazione e gli stipiti di un’antica porta che probabilmente costituiva l’accesso alla cittadella, ritenuta dagli archeologi di epoca medievale. Il lavoro degli allievi dell’Istituto Tecnico “G. Caruso”, guidati dallo scrivente, si proponeva di rilevare la zona oggetto dell’indagine archeologica, sul versante nord orientale del Monte Bonifato, ad un’altitudine compresa, tra 720 e 760 metri circa sul livello del mare. IL LAVORO DI RILIEVO SUL CAMPO Periodo di svolgimento: dal 10 al 22 luglio 2008 Principali strumenti topografici utilizzati: Stazione Totale Geodimeter System 600, precisione angolare ± 1 mgon, lineare ±(5+3ppm) in modalità standard; Autolivello digitale SOKKIA con abbinata stadia codificata, errore quadratico medio chilometrico 1,5 mm; Rollina metrica 50 m. Dopo una scrupolosa ricognizione della zona d’interesse e dopo aver stimato il tempo necessario per eseguire il lavoro, vincolato dai limiti ben precisi previsti dal progetto didattico, si stabilì di rilevare un’area, denominata “Area 4000”, estesa circa 20.000 mq. Essa comprendeva, oltre alla limitata area di scavo (SAGGIO n.1 e n.2), diverse strutture murarie di antica costruzione, rinvenute in precedenti sondaggi. Il territorio oggetto d’interesse era compreso tra le quote 720 e 760 Angelo Vitale 41 metri circa sul livello del mare ed era coperto da pini marittimi di vecchio impianto, oltre che da essenze arbustive caratteristiche della macchia mediterranea. Inizialmente si procedette ad una accurata e discreta pulitura dell’area, nel rispetto dell’ambiente naturale, in modo da consentire il movimento delle persone e degli strumenti necessari all’attività; successivamente, esplorando attentamente la zona prescelta e dopo aver controllato le visuali libere tra gli alberi, furono individuati alcuni punti di “appoggio”, vertici di una linea spezzata chiusa (poligonale), dai quali eseguire il rilievo di dettaglio. Questi punti furono evidenziati con vernice colorata, se ubicati su rocce preesistenti, o con picchetti in ferro anch’essi verniciati, se ubicati sul terreno incoerente. Nei giorni immediatamente successivi si procedette al rilievo con la “Stazione Totale” degli elementi geometrici della poligonale plano altimetrica, costituita da 9 vertici denominati con un codice alfanumerico (S1, S2, ecc). Furono misurati gli angoli nei vertici della poligonale, le distanze ed i dislivelli reciproci tra vertici consecutivi, come richiede la tecnica utilizzata. Tutti i dati furono raccolti in una tabella (libretto di campagna), più per motivi didattici che per consuetudine, considerato che lo strumento utilizzato avrebbe consentito la memorizzazione delle misure eseguite Da ciascun vertice, in seguito, si effettuò il rilievo di dettaglio misurando, per ogni punto stabilito, la direzione orizzontale (azimutale), la distanza orizzontale ed il dislivello (calcolato automaticamente dallo strumento utilizzato). Nel contempo, un altro gruppo di lavoro utilizzava l’autolivello digitale della SOKKIA, posto in stazione in prossimità della scavo archeologico, per rilevare i dati altimetrici, utili allo studio stratigrafico dello scavo principale (saggio n.1), e del materiale ceramico rinvenuto. Complessivamente furono battuti 203 punti (indicati con un codice alfanumerico): – i vertici dello scavo principale (SAGGIO n.1), e numerosi punti al suo interno per rappresentare le strutture murarie affioranti e la posizione del materiale fittile rinvenuto; – i punti che definivano i resti del muro posto nelle immediate vicinanze, ad ovest del saggio n.1, Progetto Bunifat: il rilievo topografico 42 – i punti della struttura muraria che delimitava il saggio n.2, ubicata a sud del saggio n.1; – i punti che identificavano la struttura muraria a nord dell’area di lavoro e quelli di un precedente saggio a nord-est, posti tra le quote 720 e 725 m s.l.m.; – altri punti, utili per rappresentare la strada sterrata di accesso alla zona; – i punti che caratterizzavano le strutture murarie rinvenute a sudovest dell’area di lavoro, ad una quota prossima a 760 m s.l.m. I CALCOLI E LA RAPPRESENTAZIONE GRAFICA Alla riapertura dell’attività didattica, nell’anno scolastico 2008-2009, furono elaborati i dati raccolti sul terreno, a cominciare dal calcolo delle coordinate plano altimetriche compensate dei vertici della poligonale. A tale scopo si predisposero due fogli di calcolo in ambiente Excel, uno per il calcolo delle coordinate planimetriche compensate, l’altro per la compensazione e per il calcolo delle quote degli stessi vertici, rispetto ad un sistema di riferimento locale di assi cartesiani. Calcolate le coordinate planimetriche e le quote compensate dei vertici della poligonale, si procedette al calcolo delle tre coordinate (X, Y, Quota) dei punti di dettaglio. Oltre a questo, fu studiato il piano quotato della zona rilevata, rappresentato da falde triangolari supposte piane, e per ogni falda si determinò la pendenza massima e gli elementi numeri necessari per il disegno delle curve di livello. Successivamente, si passò alla rappresentazione grafica di quanto misurato e calcolato, utilizzando il software Autocad. Tra i diversi elaborati prodotti dai ragazzi, si allegano in appendice lo “stralcio della Carta Tecnica Regionale” e la “rappresentazione planimetrica a curve di livello della zona rilevata”. Il disegno particolareggiato dell’area di scavo e delle unità stratigrafiche è stato curato dagli archeologi, che integrarono le misure effettuate dagli allievi geometri con altre di maggior dettaglio utilizzando la tecnica della trilaterazione, effettuata riferendosi ai vertici del rettangolo di scavo. Angelo Vitale 43 CAMPAGNA 2009 In questo secondo appuntamento didattico con l’Archeologia si puntò non solo a coadiuvare il lavoro in itinere degli archeologi ma anche a gettare le basi per una rappresentazione grafica di tutta l’area d’interesse archeologico, che comprendeva una zona estesa tra la quota 720 s.l.m e la sommità del Monte Bonifato. Il progetto, come il precedente, fu organizzato intorno all’attività di prospezione archeologica, promossa dal Gruppo Archeologico “Drepanon”, con la supervisione della Soprintendenza Regionale per i Beni Archeologici di Trapani. Gli allievi partecipanti furono 24, tutti appartenenti al triennio geometri dell’Istituto Tecnico “G. Caruso” di Alcamo. La collaborazione di professionisti esterni, che curarono gli aspetti didattici d’interesse archeologico, geologico e topografico dell’area d’intervento, valorizzò il progetto; lo scrivente, in quanto docente dell’Istituto Scolastico “G. Caruso”, svolse, invece, le funzioni di coordinatore. IL LAVORO DI RILIEVO SUL CAMPO Periodo di svolgimento: dal 20 al 31 luglio 2009 Principali strumenti topografici utilizzati: Stazione Totale Geodimeter System 600, precisione angolare ± 1 mgon, lineare ±(5+3ppm) in modalità standard; Autolivello digitale SOKKIA con abbinata stadia codificata, errore quadratico medio chilometrico 1,5 mm; Apparecchiatura GPS Topcon in modalità RTK; Rollina metrica 50 m. L’attività topografica fu seguita dall’Arch. Caterina Impastato; il Dott. Antonio Bambina si occupò della ricognizione geologica e dello studio diretto degli aspetti geomorfologici del territorio di Monte Bonifato; la Dott.ssa Arianna Di Miceli guidò la ricognizione archeologica e lo studio delle tracce antropiche nell’area di lavoro. La zona rilevata era estesa tra la quota 740 metri circa sul livello del mare e la sommità di Monte Bonifato. Come di consueto, si procedette Progetto Bunifat: il rilievo topografico 44 inizialmente alla pulitura dell’area, nel rispetto dell’ambiente, in modo da permettere un agevole transito delle persone e l’uso degli strumenti necessari all’attività; successivamente furono individuati alcuni punti di riferimento dai quali eseguire i rilievi di dettaglio, tra questi anche alcuni punti utilizzati nella precedente campagna di rilievi, nel 2008. Essi furono segnalati con picchetti in ferro colorati con vernice rossa o con segni grafici sulla roccia, sempre di colore rosso. Si ottenne, così, una configurazione geometrica di inquadramento costituita da un anello chiuso di 7 vertici (poligonale chiusa) e due spezzate aperte collegate ai vertici dell’anello, delle quali quella di 7 lati distesa lungo il sentiero carrabile che conduce alla sommità del monte, fino al Santuario della Madonna dell’Alto; l’altro ramo di 2 lati, a partire dal vertice, situato sul piazzale di sosta, fino alla Porta della Regina. Successivamente si continuò con il rilievo plano altimetrico, misurando sia gli elementi geometrici essenziali delle poligonali che quelli dei punti di dettaglio, ritenuti indispensabili per rappresentare il territorio. Furono “battuti” alcuni punti posti sui cigli del sentiero anzidetto, i vertici dell’area di sosta, altri punti posti ai margini della strada provinciale, sino all’altezza della Porta della Regina e alcuni punti della Porta stessa. Come nella precedente campagna di misure, l’attività topografica si affiancò a quella dell’archeologo per rilevare i punti di dettaglio dell’area di scavo (estesa verso sud rispetto a quella del 2008), ossia il contorno, le strutture murarie e il materiale fittile rinvenuto; utilizzando sia il geodimetro che l’autolivello. A tutti i punti di dettaglio si attribuì un codice numerico riferente al vertice della poligonale dal quale era stato rilevato. Complessivamente, si rilevarono 301 punti tra quelli delle poligonali e quelli di dettaglio. Inoltre, avendo a disposizione un’apparecchiatura GPS, si cercò di “georeferenziare” il rilievo, in modo da ottenere le coordinate dei punti rilevati nel sistema riferimento cartografico italiano. Questa operazione fu ostacolata dalla conformazione orografica del sito e dalla presenza di numerosi alberi; la connessione tra lo strumento ed i satelliti, infatti, è disturbata non solo dalla vicinanza di edifici ma anche dall’ambiente boschivo; inoltre, poiché il processo di misura adottato dallo strumento richiede una connessione internet mobile, è pure determinante la buona qualità del segnale telefonico. Angelo Vitale 45 Si riuscì ad ottenere un risultato di precisione accettabile (incertezza di qualche cm) in corrispondenza di due punti: uno, vertice della poligonale, posto sul piazzale di sosta (nome convenzionale 1200); l’altro rappresentato da un vertice dello stesso anello, più a sud rispetto alla zona di scavo, indicato con il codice numerico 200. I CALCOLI E LA RAPPRESENTAZIONE GRAFICA Così come l’anno precedente, i calcoli per ottenere le coordinate plano altimetriche dei vertici delle poligonali e dei punti di dettaglio furono svolti, per scelta didattica, con il software Excel. Successivamente si proseguì con la rappresentazione grafica utilizzando il software Autocad. Per convertire le coordinate (geografiche o UTM-WGS84) fornite dal GPS nel sistema Gauss-Boaga, Datum Roma40, ci si avvalse di un software denominato “Traspunto”, ottenuto dal sito internet del Ministero dell’Ambiente; per ottenere la quota ortometrica (distanza del punto sulla superficie terrestre dal Geoide) dalla quota ellissoidica (distanza del punto della superficie terrestre dall’ellissoide di riferimento WGS84) ottenuta con il GPS, ci si servì del software “NIMA EGM96 Calculator” che calcola “on line” lo scostamento tra Geoide ed Ellissoide in qualsiasi punto della superficie terrestre del quale si conoscono le coordinate geografiche. Il disegno particolareggiato dell’area di scavo e delle unità stratigrafiche fu curato dagli archeologi e dal Dott. Bambina, aggiungendo alle misure effettuate dagli allievi geometri delle altre, di maggior dettaglio, utilizzando, come di consueto, la tecnica della trilaterazione, scegliendo quali punti di riferimento i vertici del rettangolo di scavo. CAMPAGNA 2010 Questo terzo appuntamento con il Monte Bonifato, promosso dal Gruppo Archeologico “Drepanon” con il patrocinio della Soprintendenza Regionale per i Beni Archeologici di Trapani, ci permise di portare avanti il lavoro iniziato nel 2009. Le finalità del progetto furono le medesime dell’anno precedente, ossia cooperare con gli archeologi, effettuando le misure necessarie al loro lavoro, ma anche proseguire il rilievo di una rete d’inquadramento che consentisse di rilevare nel dettaglio tutta la zona d’interesse archeologico estesa tra la Porta della Regina, a circa 730 s.l.m., e la sommità del Monte Bonifato, a circa 822 m s.l.m. Progetto Bunifat: il rilievo topografico 46 Il progetto, come l’anno precedente, si avvalse della collaborazione di esperti di archeologia e geologia per completare ed arricchire la formazione culturale dei 15 allievi dell’Istituto Tecnico “G. Caruso” di Alcamo che parteciparono all’iniziativa. IL LAVORO DI RILIEVO SUL CAMPO Periodo di svolgimento: dal 22 al 30 luglio 2010 Principali strumenti topografici utilizzati: Stazione Totale Geodimeter System 600, precisione angolare ± 1 mgon, lineare ±(5+3ppm) in modalità standard; Autolivello digitale SOKKIA con abbinata stadia codificata, errore quadratico medio chilometrico 1,5 mm; Apparecchiatura GPS Topcon in modalità RTK; Rollina metrica 50 m; L’attività topografica fu guidata dallo scrivente e dal dott. Bambina che si occupò, anche, degli aspetti geomorfologici dell’area oggetto d’indagine; il Dott. Filippi seguì gli allievi nella ricognizione archeologica. Come negli anni precedenti, l’attività topografica fu organizzata in due fasi, cronologicamente indipendenti. Un gruppo di lavoro si occupò di proseguire il rilievo della rete d’inquadramento; un secondo gruppo collaborò con gli archeologi, misurando con gli strumenti in dotazione la zona dello scavo. Per completare la rete d’inquadramento, rilevata nel 2009, si procedette come di consueto alla ricognizione dei luoghi ed al picchettamento (segnalazione e creazione di un eidotipo) dei punti ritenuti indispensabili per eseguire il rilievo di dettaglio, curando che tra un punto, il precedente ed il successivo ci fosse reciproca visibilità. Questo lavoro richiese un certo impegno poiché il percorso da compiere era immerso nel bosco e con dislivelli di una certa entità. Si trattava, infatti, di collegare l’estremo vertice della precedente spezzata che raggiungeva la Porta della Regina, alla quota di circa 731 m s.l.m., con il vertice posto nelle vicinanze del Santuario della Madonna dell’Alto, alla quota di circa 822 m s.l.m. Si riuscì con una qualche difficoltà a fissare 9 punti intermedi tra quelli appena citati, realizzando una poligonale di 11 lati. Angelo Vitale 47 Conclusa questa fase si proseguì con le misurazioni, sia quelle necessarie al calcolo della poligonale che quelle di dettaglio. In particolare, nella zona sommitale furono rilevati alcuni punti delle antiche mura medievali, della Torre, e qualche spigolo del fabbricato sede del Santuario della Madonna dell’Alto, nonché i vertici dello scavo archeologico del 2007. All’interno del bosco, si rilevò l’asse di un sentiero che conduce ad un’altra area di interesse archeologico. Contemporaneamente, un altro gruppo di lavoro si occupò del rilievo dell’area di scavo, localizzata nella medesima zona d’intervento del 2008, di ampiezza più che tripla rispetto alla precedente. Complessivamente, tra vertici d’inquadramento e punti di dettaglio, furono rilevati 158 punti. Anche in quest’occasione si utilizzò il GPS per aumentare i punti di coordinate note onde migliorare la precisione della georeferenziazione. Per gli stessi motivi indicati prima, il rilievo con il GPS, nelle zone alberate, non fornì risultati soddisfacenti; tuttavia, si riuscì ad ottenere una misura di precisione adeguata (incertezza di qualche cm) in corrispondenza di tre punti: uno, vertice di poligonale posto vicino allo scavo (nome convenzionale 100); l’altro nei pressi del Santuario indicato con il codice 1000; l’ultimo vicino la Torre, in sommità, codificato con il numero 2500. Per quanto concerne i calcoli e la rappresentazione grafica si procedette come negli anni precedenti. Più avanti, a pag. 51 e a pag. 52, pubblichiamo due degli elaborati prodotti dagli allievi: il disegno delle poligonali del 2009 e del 2010 inserite in uno stralcio della carta tecnica regionale 1:10000 del territorio di Monte Bonifato ed una immagine tratta da Google Maps della stessa zona, sovrapposta al disegno dei rilevamenti effettuati negli anni 2008, 2009, 2010. 

Angelo Vitale 

Tracce architettoniche del passato sul Monte Bonifato

Il massiccio isolato del Monte Bonifato, a dominio della piana di Alcamo, alto circa 826 metri s.l.m., ospita tracce architettoniche del passato, tra le quali spiccano la cosiddetta Funtanazza, più in alto la cinta muraria dell’abitato e la Porta della Regina e, sulla sua sommità, la torre del Castello detto dei Ventimiglia. Sulla via che conduce alla vetta resta un edificio saraceno chiamato la Funtanazza (fig. 1). Si tratta di una cisterna a pianta rettangolare ricoperta da volta a botte, ormai diruta ma dall’impostazione ancora leggibile, sostenuta da pilastri: è assai somigliante alle fontane moresche che si riscontrano nella costa africana. Il complesso sommitale dell’abitato e il castello dovevano essere protetti da una cinta muraria di spessore, più o meno uniforme, di due metri, per un perimetro complessivo di circa m. 1500. Al centro, quasi in asse con il castello, restano in piedi gli stipiti di un’antica porta della città, la Porta detta della Regina (fig. 2), mentre i resti di due probabili torri sussistono ai vertici Nord-Est e Sud-Ovest della cinta. Il Castello dovette sorgere tra il 1328 e il 1332, periodo in cui gli alcamesi furono costretti a lasciare il proprio casale e rifugiarsi sul Monte. Anche se nel 1397 Gualtiero Ventimiglia dichiarava di aver edificato il Castello a proprie spese, questo doveva essere un preesistente fortilizio in rovina e l’intervento attuato dai Ventimiglia doveva piuttosto limitarsi al suo restauro. Il ritrovamento di ceramiche risalenti ai sec. XII e XIII nella discarica sotto il muro meridionale del Castello induce ad avallare l’ipotesi della fondazione musulmana della fortezza. I resti del Castello sono distribuiti attorno ad una corte, che fa da piazzaforte sulla vetta del Monte. L’architettura scarna del complesso, la presenza dei resti di poche abitazioni e di una cappella nella piazza d’armi, lungo il fianco meridionale della cinta muraria, inducono a supporre che il Castello sia nato esclusivamente con funzione militare, di rifugio e 57 difesa, specialmente dei vicini territori di conquista come Segesta e Selinunte e sia stato abitato e utilizzato come borgo fortificato. Lo schema di pianta è sostanzialmente triangolare o, se si vuole, a trapezio rettangolo (tav. 9 in appendice), le cui basi, una di 70 metri e l’altra di 28, sono unite da un lato retto di 45 metri, mentre l’altro, che risulta così molto inclinato, è di 60 metri circa. Il lato inclinato e la base minore si affacciano a Sud-Sud/Est sul precipizio, mentre il lato retto e l’altra base, rispettivamente ad Ovest e a Nord, si adagiano sul declivio che raccoglie tutte le testimonianze di vita. La muratura perimetrale, dello spessore costante di m. 2,20 e alta cinque o sei metri sul declivio Nord e Ovest, è realizzata con pietre della stessa roccia su cui è fondata. Oltre alla superstite torre di Nord-Ovest, che doveva essere la torre mastra (fig. 3), affiorano i resti di altre tre torri quadrate: una all’ingresso all’angolo Sud-Ovest, una a Nord-Est (fig. 4) sulla roccia all’imbocco della rampa di accesso e quella mediana sul lato Nord. Il Castello, i cui punti nodali per la difesa appaiono accentrati ai vertici dello sviluppo planimetrico, si avvaleva della posizione forte e alta da dove esercitare un tiro piombante verso gli offensori. E laddove questa posizione non esisteva naturalmente, venne realizzata con costruzioni architettoniche. La torre mastra, che attualmente si erge sino a circa 19 metri dal suolo sulla parte del pendio Ovest, era la più alta di tutte anche in origine, ed è la costruzione più complessa e determinante ai fini strategici di tutto il Castello. Dalla sua cima si domina uno dei paesaggi più vasti della Sicilia, e, quindi, impiantata come mastio, rappresenta punto di avvistamento strategico. Con tale funzione, infatti, invece di essere ubicata nel punto più inaccessibile e meglio difeso, essa è posizionata in modo da guardare due lati della cinta di mura e la strada che porta al Castello; mentre domina tutta l’area praticabile della vetta del Monte e sorveglia direttamente l’ingresso, eventuale punto vulnerabile della fortezza. La torre, a pianta rettangolare è, come le altre, costruita al di fuori del perimetro delle mura, delle quali fa parte, per un tratto del fianco Est. All’impianto misura m. 9,60 per m. 17,00 e lo spessore dei muri intorno è di m. 2,20 circa. Come il resto delle costruzioni, poggia direttamente sulla roccia e la fabbrica si sviluppa in altezza con leggere rastremazioni o riseghe esterne. In origine lo spazio interno doveva essere suddiviso in quattro piani Tracce architettoniche del passato sul Monte Bonifato 58 utili e presumibilmente così distribuiti: •al piano terreno, la cisterna accessibile da una botola e connotata da brani residui di condutture di argilla per l’adduzione dell’acqua piovana, accanto il locale della segreta o deposito; •al primo piano, una stanza comune con camino, alla quale si perveniva dalla scala della corte e dalla quale si accedeva a tutto il resto della torre; e poiché la scala si sviluppa nello spessore dei muri Sud, Ovest e parte di quello Est, in questi lati lo spessore dei muri si mantiene quasi uguale a quello di base, mentre nel lato Nord e nel rimanente di quello Est viene assottigliato all’interno determinando una pianta a risega lungo il lato Est (fig. 5). Si sono create così due dimensioni diverse da coprire a volta. Attigua alla precedente era la stanza sulla cisterna, cui era annessa probabilmente una caditoia, come farebbero supporre tre grosse mensole di pietra sotto il piano dell’apertura sul muro Nord (fig. 6); i ripiani orizzontali interni erano ricoperti da volte; •al secondo piano, altri due ambienti sostanzialmente simili a quelli del primo piano ma con solai in legno; •al terzo piano lo spessore dei muri doveva essere lo stesso delle mura di cinta per garantire la possibilità di difesa e doveva comprendere una merlatura. La copertura (fig. 7), presumibilmente a volta in pietra, era funzionante come “solaio incombustibile” per le fumate ed i fuochi prodotti per le segnalazioni. L’accesso al Castello doveva svilupparsi sul lato Sud-Ovest, accanto alla relativa torre (fig. 8), dove si trova l’unica interruzione alla continuità delle mura per la presenza dell’attuale cisterna sotto la Chiesa della “Madonna dell’Alto” (fig. 9). Essa è sostanzialmente un vano ricavato nell’estremità del pendio Ovest, al limite con il dirupo, nell’ambito della torre a guardia dell’ingresso. Vi si accede da una ripida scaletta che si sviluppa nello spessore del muro; la porta d’accesso, che affaccia sulla scala, ha stipiti costruiti con conci molto regolari ed è limitata superiormente con un arco acuto. È coperto da una volta a botte e riceve scarsa luce da due feritoie molto alte, essendo il livello del pavimento uguale a quello esterno di campagna. Le strutture dell’ingresso dovevano essere già fatiscenti nel sec. XVI, quando si pensò di costruire una cappella, poiché in quel luogo era stata trovata un’immagine sacra dipinta ad un livello bassissimo sul terreno, Maria Antonina Altese 59 come un’antica icona, che doveva essere posizionata all’ingresso e rimasta interrata. Le prime notizie riguardanti il culto di Maria SS. dell’Alto risalgono al periodo tra il 1558 e il 1583. Già allora la chiesa era meta sia di pellegrinaggi per implorare la pioggia in periodi di siccità, sia di viaggi penitenziali. In questi viaggi detti “Vie Sacre”, si sostava e si pregava dinanzi a ognuna delle 14 “figurelle” (edicole della Via Crucis), erette nel 1703 sulla via che portava alla vetta del Bonifato. Secondo la tradizione, a seguito di un miracolo della Madonna, nel 1643 risulta una Congregazione di S. Maria dell’Alto, “composta di notabili, preti e popolani”, che, per secoli, l’8 settembre distribuì “il necessario alimento” ai poveri venuti in pellegrinaggio alla chiesa. Questa, dal 1653, fu, come già nel 1547 quella di Maria SS. dei Miracoli, giurepatronato dell’amministrazione civica. L’attuale chiesa sorse nel 1930. Sono scomparse la pittura originaria e la statua lignea del 1644. Vi si trovano la pittura su lamiera, eseguita da Liborio Alesi, e la statua lignea scolpita nel 1933 da Giuseppe Ospedale. Da secoli il popolo alcamese celebra la tradizionale festa della Madonna dell’Alto: la vigilia si allestivano, in città, nelle campagne e nei luoghi di villeggiatura, li luminari (grossi falò); la mattina dell’8 settembre nella chiesa di Maria SS. dell’Alto si celebravano le Messe, poi una processione e un recital di poesie. 

Maria Antonina Altese 

Lo scavo della SAS 4000 

LA STORIA DELLO SCAVO E DELLA RICERCA L’attività di ricerca archeologica – intesa come scavo fisico di una porzione di terreno – in questo settore della Riserva Naturale Orientata di Monte Bonifato, nasce con la scoperta, nel 2000, di uno scarico composto da numerosissime ossa animali associate a materiali ceramici di età indigena arcaica; tale scarico era stato rinvenuto nei pressi di uno sperone roccioso molto rilevato ed era posto lungo il margine della linea spartifuoco sul versante orientale della montagna: questa precedente attività, di brevissima durata, si era svolta nel corso di un progetto finanziato dalla Provincia Regionale di Trapani, condotto dall’associazione culturale Kalat e con l’alta sorveglianza della Soprintendenza di Trapani. Solo nel 2008, e sotto l’egida del nuovo programma di studio e valorizzazione Bunifat, si decise di intervenire poche decine di metri più a monte rispetto all’area del primitivo ritrovamento dove, grazie al più regolare e quasi pianeggiante profilo del monte, era possibile supporre, con maggiore probabilità, la presenza di edifici che dovevano aver prodotto quella grande quantità di “rifiuti” poco più a valle. Questa prima campagna di scavo produsse, in una prima fase, la scoperta di alcune strutture murarie in superficie da interpretare come pertinenti ad un edificio di età medievale e, in un secondo momento, sotto una coltre terrosa di poche decine di centimetri, il rinvenimento di strutture murarie riferibili alla fase arcaica del sito. Furono aperti due diversi saggi, uno presso l’angolo interno dell’edificio medievale e l’altro più a nord, al centro della fascia spartifuoco, che ha restituito gli elementi più importanti per la comprensione della fase indigena di Monte Bonifato. Nella campagna 2009 si decise l’allargamento del saggio principale e l’apertura di una nuova trincea subito a sud, mentre veniva ultimato il piccolo sondaggio posto all’interno dell’edificio medievale; tuttavia, in questo settore, per verificare l’estensione dell’intera struttura, in futuro sarà necessario un progetto più vasto e specifico per consentire l’asportazione di una cospicua coltre di macerie scivolata dal settore più elevato del pendio. 67 L’anno 2010 ha rappresentato l’ultima campagna di scavo del progetto Bunifat e l’attenzione si è concentrata prevalentemente sugli edifici arcaici rinvenuti nel corso delle precedenti ricerche; l’estensione ragguardevole del saggio principale – circa 16 metri – al centro dello spartifuoco ha permesso di ricostruire, pur se in modo del tutto parziale, una “microstoria” dell’insediamento indigeno che, a partire almeno dal VII secolo a.C., si era stabilito su questo versante del monte. Diversi edifici articolati su più fasi appaiono intersecarsi e sovrapporsi lungo un periodo che comprende almeno due secoli; mentre, dopo un lungo intervallo estesosi quasi per un millennio e mezzo, una nuova comunità si ristabilisce nella medesima area di quella indigena, come hanno testimoniato non solo le strutture murarie ma anche altre attività, rilevate archeologicamente, realizzate dagli abitanti del villaggio medievale. Il sito archeologico indagato durante le tre diverse campagne di scavo sul versante orientale di Monte Bonifato si configura come un importante nuovo tassello del più generale mosaico degli insediamenti indigeni della Sicilia occidentale con Erice, Segesta, Entella e Monte Polizzo; nuove future ricerche dovranno stabilire la consistenza e l’estensione di questo abitato e identificare le diverse trame che connettevano la comunità indigena di Bonifato con gli altri insediamenti attraverso gli influssi e le direttrici commerciali proprie del Mediterraneo centrale. I materiali ceramici presentati in questa sede e le loro definizioni cronologiche sono frutto di uno studio del tutto preliminare; ulteriori e più approfondite ricerche, nell’ottica di una pubblicazione sistematica e complessiva dello scavo, potranno in futuro precisare gli ambiti produttivi e temporali del patrimonio ceramico e materiale di Monte Bonifato. I PERIODI DELL’INSEDIAMENTO Periodo I – VII secolo a. C. L’indicazione cronologica espressa nel titolo di questo paragrafo riguarda i livelli più antichi finora indagati durante lo scavo; la ricerca, infatti, non ha raggiunto il banco roccioso, e le indicazioni emerse finora hanno dimostrato con chiarezza che al di sotto degli elementi messi in luce esistono strati e, verosimilmente, altri edifici ancora più antichi. Lo scavo della SAS 4000 68 A questo periodo possiamo assegnare una struttura quadrangolare allungata (fig. 1) – edificio A – orientata in senso nord-ovest/sud-est che occupa il settore centrale del saggio. I muri sono realizzati con lastre di calcare sbozzate irregolarmente ma rifinite in modo da mostrare su almeno tre lati una faccia liscia e rettilinea; la tecnica di realizzazione di queste murature prevedeva una posa in opera abbastanza semplice, senza alcuna fondazione tagliata nel terreno per l’imposta del primo corso di lastre, secondo quanto è stato rilevato finora; le lastre o i blocchetti di calcare venivano poi sistemati su due paramenti o facce, una interna e l’altra all’esterno, connesse grazie all’uso di un legante composto da fango o terra nerastra misti spesso a noduli di gesso o calcare marnoso di piccole dimensioni. Questi inclusi servivano probabilmente a rendere più stabile e meno incoerente l’impasto realizzato con terra cruda mentre è probabile che la parte più elevata del muro fosse creata con una tecnica completamente diversa: si può ipotizzare, infatti, che l’alzato dei muri, ora non più conservato, fosse costruito con un impasto di fango e paglia sostenuto, o intercalato, da elementi lignei (una intelaiatura costituita da pali verticali e travi orizzontali), tutti materiali che non possono più essere rilevati archeologicamente a causa della loro deperibilità. L’edificio A è stato individuato solo su tre lati mentre il quarto verso nord è stato coperto (o smantellato) da un’altra struttura, l’edificio B, di cui è stato individuato finora solo un imponente muro curvilineo che procede da ovest verso nord (vedi periodo II). L’edificio quadrangolare non ha una superficie interna univoca ma mostra in realtà, al di sotto degli strati parzialmente scavati (fig. 2), due partizioni interne, molto probabilmente due diverse stanze, una a nord e una a sud – quest’ultima più piccola – mentre l’altra non è percepibile in tutta la sua estensione perché si allunga sotto il muro curvilineo e la sezione di scavo. Un’altra peculiarità di questo edificio è la presenza di una piccola apertura praticata sul muro ovest con gli stipiti ben squadrati e perfettamente leggibili (fig. 3): tale elemento è della massima importanza perché indica che l’edificio A è molto più esteso del settore messo in luce e, quindi, altri ambienti sarebbero conservati sotto la coltre di terreno non ancora scavata ad ovest del saggio. All’interno dei due vani i pavimenti erano realizzati con terra battuta mista a sporadici frammenti ceramici e durante lo scavo non sono stati Carmela Cipolla, Claudia Filippi, Luana Poma, Pierfrancesco Vecchio 69 trovati particolari concentrazioni o accumuli di vasi frantumati o ricostruibili, anche in parte: questo indica che durante la vita di questo edificio non si sono verificati eventi traumatici che hanno portato all’abbandono repentino e alla distruzione del patrimonio di vasi e contenitori ceramici utilizzati nei due ambienti dell’edificio A. Pur utilizzando materiali locali e modelli edilizi non particolarmente monumentali tuttavia in questa unità abitativa si sono riscontrate alcune caratteristiche che dimostrano una certa accuratezza nella tecnica costruttiva: i pavimenti in terra battuta presentano come inclusi una consistente quantità di lastrine di calcare – non superano mai i due-tre centimetri di lunghezza – il cui scopo era quello di drenare la superficie dei battuti dall’acqua e mantenerne così l’integrità e la durata. L’altra peculiarità è attestata da una piccola nicchia praticata sul muro di fondo meridionale dell’edificio (fig. 3) che potrebbe avere accolto un elemento ligneo (o delle scansie su più livelli) funzionale alla vita domestica all’interno dell’ambiente, per contenere o conservare gli oggetti di uso quotidiano. Periodo I – I materiali Il materiale proveniente dalle unità stratigrafiche relative a questo periodo è prevalentemente ceramico, fatta eccezione per un piccolo frammento di bronzo, diversi pestelli in pietra e una conchiglia marina di tipo bivalve. La presenza quasi esclusiva di ceramica indigena in tutta l’area del saggio, e soprattutto negli strati attribuibili a questa fase, rappresenta un limite per la precisa collocazione temporale dei reperti in esame (fig. 4). Questa indeterminatezza è causata dal conservatorismo di forme e decorazioni che caratterizza le produzioni indigene in genere, per le quali non è stato ancora possibile stabilire una seriazione crono-tipologica. In assenza, dunque, di associazioni con materiale ceramico d’importazione datante è difficile stabilire, allo stato attuale, un ambito cronologico ristretto. Il repertorio ceramico documentato per questo periodo comprende prevalentemente esemplari realizzati ad impasto ma non mancano quelli eseguiti al tornio. Al di là di questa distinzione tecnica la ceramica può presentare o meno delle decorazioni dipinte, impresse e incise. Lo scavo della SAS 4000 70 Tra la ceramica realizzata ad impasto e non decorata sono documentati frammenti pertinenti per lo più a grandi contenitori per la conservazione delle derrate alimentari (pithoi), a recipienti utilizzati per la preparazione (mortai), la cottura (pignatte) e il consumo dei cibi (scodelle e scodelloni). Poco rappresentati, e conservati in stato assai frammentario, sono gli esemplari di ceramica a decorazione geometrica impressa e incisa, realizzati sia ad impasto sia al tornio e pertinenti a forme aperte (come ad esempio scodelline) e chiuse (anfore e brocche). La decorazione prevalente è costituita da linee incise e da motivi a zig-zag; in un unico esemplare si ritrovano anche dei motivi a cerchielli concentrici impressi. Gli schemi decorativi riscontrati a Monte Bonifato rientrano nel repertorio noto in altri centri indigeni della Sicilia (stile Sant’Angelo Muxaro) e ampiamente documentati anche nei vicini centri elimi. Tra la ceramica ad impasto ritroviamo inoltre quella dipinta con decorazione sfumata di color rosso e marrone, altrimenti nota come ceramica “piumata”, attestata nei contesti della Sicilia orientale già dall’età del Bronzo finale, ma che perdura anche nella successiva età del Ferro, fino al VII secolo a.C., in insediamenti della Sicilia centro-meridionale. La sua presenza a Monte Bonifato, spesso all’interno delle vasche degli scodelloni, costituisce la testimonianza più occidentale di questa decorazione. Per quanto riguarda la produzione ceramica tornita, sostanzialmente destinata alla mensa o alla dispensa, la forma più frequente è quella della scodella, in genere a vasca carenata con bugne forate. Meno attestate risultano essere le brocche, anche trilobate, le anfore da tavola, le olle, i bacini e gli scodelloni. Alla trasformazione dei cibi dovevano invece essere destinati i mortai, dotati di beccuccio versatoio, dei quali si conservano alcuni frammenti. Le forme sinora descritte, specie le brocche e le scodelle, possono presentare delle decorazioni dipinte con semplici motivi geometrici in bruno o rosso mattone (reticoli, linee, motivi a onda). Completano il repertorio ceramico indigeno tre esemplari di fuseruole biconiche che, pur così numericamente ridotte, potrebbero documentare un’attività di filatura nell’ambito dell’economia domestica dell’insediamento. La documentata presenza di prodotti di importazione greca non consente, a causa del pessimo stato di conservazione dei frammenti, di forCarmela Cipolla, Claudia Filippi, Luana Poma, Pierfrancesco Vecchio 71 nire un’indicazione cronologica puntuale per questa fase che tuttavia sembrerebbe ricadere all’interno del VII secolo a.C. Periodo II – VII-VI secolo a.C. Nella storia dell’insediamento questo momento sembra rappresentare una svolta radicale nella concezione degli spazi costruiti; l’edificio A viene obliterato e ricoperto di terra, verosimilmente dopo essere stato abbandonato poiché durante lo scavo non sono state rilevate le tipiche tracce di distruzione caratterizzate, quasi esclusivamente, da strati molto consistenti di cenere o carboni, in seguito al disfacimento delle componenti lignee della costruzione. Al di sopra di questo livellamento viene impostata una nuova struttura – l’edificio B – che è rappresentata dal muro curvilineo posto presso la sezione nord del saggio e che appare come il più monumentale nelle dimensioni rispetto a tutti gli altri finora messi in luce (fig. 5). La larghezza media è m 0,80/1 ma la notevole estensione è data anche dalla presenza di una peculiare fodera – una sorta di bassa banchina – attestata lungo tutto il paramento interno messo in luce. Allo stato della ricerca e data la limitata estensione dello scavo non è possibile ipotizzare nessuna funzione per questo edificio (una capanna?) che potrebbe avere una planimetria ellittica, verosimilmente, anche di notevole estensione; nello spazio interno all’edificio B è stata messa in luce una suddivisione che mostra un breve paramento a blocchetti allungati (fig. 5), di incerta definizione, che ipoteticamente si potrebbe definire come una installazione funzionale alla vita all’interno di questo spazio. Pur nell’incertezza della destinazione dell’edificio B, la monumentalità della tecnica muraria e l’eccezionale dimensione, ipotizzabile sulla base delle misure finora rilevate, indicano l’importanza che esso doveva ricoprire all’interno della comunità indigena che viveva a Monte Bonifato. Periodo II – I materiali Il repertorio vascolare relativo a questo periodo non si discosta molto dalle forme e decorazioni riscontrate nella fase precedente (fig. 6). Per quanto riguarda la ceramica ad impasto, questa era destinata Lo scavo della SAS 4000 72 soprattutto alla conservazione, preparazione e cottura degli alimenti. Tra le forme attestate prevalgono gli scodelloni – spesso con decorazione dipinta “piumata” al loro interno – e i grandi contenitori, come i pithoi, che possono presentare una cordonatura plastica all’esterno. Tra la ceramica tornita di produzione indigena, e destinata al consumo di pasti e bevande, continuano a prevalere le scodelle con presa bugnata, soprattutto acrome o con decorazione geometrica dipinta, mentre rispetto alla fase precedente risultano maggiormente attestate forme chiuse quali anfore domestiche e varie tipologie di brocche, spesso dipinte. Pur mantenendo sostanzialmente il medesimo repertorio formale, adesso sembra essere maggiormente documentata la ceramica impressa e incisa. All’ambito coloniale greco sono da ricondurre alcuni reperti ceramici che – nonostante il loro cattivo stato di conservazione – forniscono un orizzonte cronologico meno ampio. In particolare ci riferiamo alla presenza di un frammento di coppa con decorazione a bande bruno-nere dipinte sull’orlo e forse anche sulla vasca, riconducibile probabilmente alle cosiddette coppe “a filetti” di produzione coloniale e databile tra la fine del VII e la prima metà del VI secolo a.C. Tra i materiali utili alla definizione cronologica del II periodo è necessario ricordare la presenza di un frammento di orlo di anfora fenicia da trasporto probabilmente riconducibile ad un tipo prodotto nella zona del cosiddetto “Circulo del Estrecho”, dal secondo quarto del VII fino alla metà del VI secolo a.C. (fig. 7). I materiali d’importazione sinora descritti testimonierebbero la presenza di sporadici contatti tra gli abitanti di Monte Bonifato e le realtà coloniali (greche e fenicie) del territorio circostante. Periodo III – prima metà VI secolo a.C. Questa fase testimonia un generale abbandono del settore indagato dell’abitato indigeno dopo che i due edifici A e B non sono stati più utilizzati e sono stati ricoperti da strati di livellamento; non cessa però del tutto l’attività di frequentazione e di uso dell’area, come testimoniano alcune strutture rinvenute poco al di sotto dello strato superficiale di terra. Carmela Cipolla, Claudia Filippi, Luana Poma, Pierfrancesco Vecchio 73 Il lungo muro posto su quasi tutto il limite orientale del saggio (fig. 8) delimita ancora uno spazio interno e agisce nello stesso tempo da terrazzamento per una nuova fase di vita e di frequentazione: questo muro ha servito da limite dello spazio insediativo, in pratica, per tutti e tre i periodi relativi all’età indigena, di volta in volta restaurato, integrato o ripristinato in relazione alle esigenze degli abitanti. Un breve tramezzo interno che era stato messo in luce nella campagna del 2008 indica che anche questa struttura aveva delle suddivisioni interne (fig. 9) e che deve aver contribuito in qualche forma alla vita dell’ultima fase della comunità indigena di Monte Bonifato. Periodo III – I materiali Dall’analisi dei materiali ceramici restituiti dai livelli pertinenti a questo periodo, si osserva un lieve aumento dei prodotti d’importazione e l’apparente scomparsa della ceramica piumata (fig. 10). La maggior parte della ceramica rinvenuta è comunque di produzione indigena – ad impasto e tornita – e rientra nelle categorie già attestate nei livelli precedenti, non notandosi particolari variazioni nelle forme e nelle eventuali decorazioni. Continuano infatti a prevalere i pithoi e gli scodelloni nell’ambito della ceramica d’impasto e la scodella per quanto riguarda la ceramica al tornio. Relativamente alla ceramica ad impasto, occorre evidenziare anche in questi livelli la scarsa presenza di ceramica da fuoco, documentata dalle cosiddette pignatte troncoconiche, di cui si conservano pochissimi, ma caratteristici frammenti. Questa forma è ampiamente attestata in contesti indigeni e fenici dell’Età del Ferro e si mantiene morfologicamente immutata fino ad età medievale. Non sono documentate le fuseruole biconiche che invece erano presenti, anche se con pochi esemplari, nei precedenti periodi. Alcuni pestelli e macinelli litici potrebbero rimandarci ad altre attività di preparazione domestica dei cibi. Gli unici elementi che consentono di datare questo periodo sono costituiti da esigui frammenti ceramici di tradizione greca e fenicia, alcuni dei quali però verosimilmente residuali. Per quanto riguarda i primi si tratta di tre orli di coppe ioniche (del tipo B1 e B2) di probabile produzione Lo scavo della SAS 4000 74 greco-orientale, almeno nel caso delle B2; di un piccolo frammento di orlo di una kotyle forse di produzione corinzia; di uno skyphos con decorazione a tremoli che imita le kotylai del corinzio medio, ed infine di un frammento di parete con decorazione rosso-bruna a semicerchi penduli che si ispira alla tradizione euboica. Ad importazione fenicia sono da ricondurre due frammenti di orlo pertinenti al medesimo esemplare del tipo anforico precedentemente descritto. Il materiale che abbiamo analizzato fornisce un quadro cronologico compreso tra la fine del VII e il VI secolo a.C. Periodo IV – XII-XIII secolo d.C. Dopo un lunghissimo intervallo cronologico che non sembra testimoniato da nessuna forma di insediamento né temporanea né sporadica, questa porzione della pendice orientale del monte torna ad essere stabilmente frequentata in età medievale. Lo scavo ha, infatti, testimoniato la presenza di muri affioranti, ben distinguibili talvolta anche sulla superficie dell’humus, nel settore a sud e ad ovest del saggio centrale sul limite tra la fascia spartifuoco e il margine del bosco. Durante lo scavo degli strati più recenti, relativi alla coltre terrosa tra gli alberi e dei livelli di dilavamento del pendio scivolati da strutture più a monte, sono stati recuperati numerosi frammenti ceramici relativi alle produzioni di invetriata e di comune di età medievale. L’unità abitativa meglio conservata e ancora parzialmente scavata si trova nel settore meridionale dello scavo ed è stata contrassegnata come edificio 1 (fig. 11). Si tratta di un angolo di un ambiente delimitato da due muri di cui si conservano i paramenti murari per circa 1 metro di altezza e la cui tecnica mostra una esecuzione raffinata; i componenti restano praticamente identici a quelli di età indigena – lastre di calcare e legante a base di un impasto di fango – ma la resa è molto più accurata, con il taglio preciso delle lastre e tendenzialmente più regolare, con una razionale messa in opera dei corsi della muratura (fig. 12). In questa circostanza si è potuto verificare che il muro medievale è stato fondato direttamente sullo strato di abbandono o distruzione di età indigena mentre nel livello più in basso lo strato di vita di età arcaica si è conserCarmela Cipolla, Claudia Filippi, Luana Poma, Pierfrancesco Vecchio 75 vato subito al di sopra del banco roccioso: la sezione, infatti, mostra in modo esemplare la successione delle epoche storiche dalla fondazione del periodo “elimo” all’ultima stagione di età normanno-sveva. Nel saggio principale non sono state messe in luce muri relativi a questo periodo ma è stato possibile registrare l’attività di asportazione di terra testimoniata, dal punto di vista archeologico, da una fossa di forma approssimativamente circolare (fig. 13). Questa appare riempita in due momenti: un primo restringimento caratterizzato da terreno marnoso più compatto contenente numerosi frammenti di coppi impastati con paglia di grosse dimensioni, mentre un secondo riempimento interno caratterizzato da terreno bruno era sicuramente proveniente dal dilavamento degli strati di superficie. Periodo IV – I materiali I materiali che caratterizzano la fase di occupazione medievale del sito ad un esame preliminare sembrano ascrivibili ad età normanna e soprattutto sveva, ovvero dalla seconda metà del XII alla prima metà del XIII secolo (fig. 14). Sono documentate forme ceramiche da mensa (come catini, tazze, boccali, ciotole), le caratteristiche anfore da trasporto con solcature più o meno accentuate su tutta la superficie esterna (a cannelures), mentre risultano assenti le ceramiche da fuoco. Tra la produzione destinata alla tavola prevalgono gli esemplari con rivestimento invetriato monocromo verde sia all’interno che all’esterno, la cui tonalità varia a seconda della quantità di pigmenti usati e dello spessore del rivestimento. Fra i reperti si è riscontrata anche ceramica invetriata con decorazione in verde ramina e bruno manganese. Da segnalare è inoltre la presenza di diversi chiodi in ferro e di numerosi frammenti di coppi in malta celamidarum (impastati con paglia) di grosse dimensioni, rinvenimenti che sembrano confermare la presenza di strutture stabili piuttosto che una frequentazione episodica del sito. 

Carmela Cipolla 

Claudia Filippi 

Luana Poma 

Pierfrancesco Vecchio 

Monte    Bonifato :    scavi   nel   sito medievale 

Il castello “dei Ventimiglia” sul Monte Bonifato ha spesso attirato l’attenzione degli studiosi a causa della sua pianta trapezoidale: ad alcuni (R. Santoro, A. Filippi) è sembrata derivare dal rimaneggiamento di un castello in origine rettangolare, con torri angolari, che avrebbe perduto una grossa parte dell’angolo sud-est, sostituita dal muro diagonale attuale, certamente meno spesso e aggiunto successivamente rispetto agli altri tratti di mura dell’edificio. Appunto allo scopo di verificare la possibilità che fossero ancora conservate parti relative a tale ipotetica prima fase della costruzione medievale, nel quadro del progetto Bunifat, sono stati espletati nel luglio del 2007 due brevi saggi di scavo presso il castello dei Ventimiglia: uno presso la torre angolare nord-est della cinta (definita area 5000), e un altro a sud-est delle mura del castello stesso (area 6000), in corrispondenza di alcuni tratti di fortificazione che si dispongono sul ciglio del dirupo poco sotto (Tav. 1 in appendice). La torre nord-est era stata già oggetto di scavo tra 2000 e 2001 nel quadro di un progetto della Provincia di Trapani, mentre in questa occasione si intendeva anzitutto intervenire nel settore a sud-est di essa, rimasto non scavato, per ripulirlo ed eventualmente scavarvi un saggio. Tuttavia, dopo la pulitura della superficie (fig. 1), ingombra di materiali di scarico e di erbacce, lo scavo del copioso pietrame di crollo si presentava di ardua realizzazione, con i pochi mezzi a disposizione; si è deciso allora di concentrarsi sulla vicina area 6000. Le condizioni del saggio, presso il ciglio del dirupo, non hanno facilitato le condizioni di scavo, che hanno dovuto tenere conto dello scarso spazio disponibile (fig. 2). In questa breve nota vogliamo rendere conto degli scavi effettuati e dei risultati ottenuti, che potranno servire da base per ulteriori ricerche. L’area 6000 è stata scelta per lo scavo perché caratterizzata dalla presenza visibile in superficie della cresta di un muro in pietrame e malta, lungo circa m 27, che corre in senso Nord-est/Sud-ovest, seguendo il ciglio dello strapiombo che chiude a sud il pianoro del castello dei Ventimiglia. È sembrato che in tale struttura avrebbero potuto essere stati 85 riutilizzati elementi di una possibile fondazione muraria della fase più antica del castello. Si è scelto di partire con un saggio rettangolare (saggio 1), di m 4 in senso E-O e m 3 in senso N-S, disposto circa al centro rispetto alla lunghezza del muro visibile in superficie. Dopo la pulitura dalla vegetazione, è emersa la superficie dell’humus depositatosi col tempo, definito US 6000. Lo scavo della US 6000, che si è protratto per i primi due giorni, ha soprattutto restituito diversi frammenti osteologici di ovini, relativi forse a pasti effettuati durante le feste della Madonna dell’Alto la cui cappella si trova alcuni metri più a monte, nella parte sud del pianoro del castello. Si è subito confermato, dopo la pulitura della cresta del lungo muro definito US 6001 (fig. 3), che si trattava di un muro a doppia cortina in blocchetti irregolari di calcare duro locale, spesso tra 80 e 90 cm, tenuto assieme da malta biancastra, simile per tecnica edilizia ai muri del castello dei Ventimiglia. Al di sotto dell’humus venivano poi scavati due strati, uno definito US 6003, costituito da pietrame scheggiato proveniente dalla disgregazione del banco naturale, assieme a limo e sabbia, disposto in gran parte nel settore sud del saggio, che ricopriva un altro strato di malta biancastra definito US 6002 (figg. 4-5). La US 6003, interpretabile come uno strato di terra e pietrame disposto artificialmente per pareggiare il terreno a monte del muro 6001, dunque in relazione con la sua costruzione, da cui proviene anche un chiodo in ferro (fig. 6), è stata pulita e poi scavata per mettere allo scoperto del tutto la sottostante US 6002, che emergeva inizialmente nel solo settore nord del saggio. Per quanto riguarda US 6002, si deve osservare che si tratta di uno strato di malta biancastra e di pietrame minuto che è stato anch’esso messo in opera artificialmente, con una parte al centro più eminente, da cui emergono tre blocchetti in calcare di maggiori dimensioni. Inoltre, rimuovendo US 6003, ci si è accorti che nella parte nord-est lo strato US 6002 era stato interessato da un taglio (US 6004) parallelo al muro 6001, da mettere in relazione con la sua fondazione, e che lo spazio tra tale taglio e la faccia interna del muro 6001 era stato riempito da un altro strato, definito US 6005 (figg. 7-8). Pertanto il muro 6001 doveva essere successivo alla gettata di malta 6002, che era stata da esso tagliata. A sud del muro 6001, verso il dirupo, ci si è limitati ad un saggio di m Monte Bonifato: scavi nel sito medievale (9-20 luglio 2007) 86 1 x 3 nel quale si è rimosso l’humus (US 6000) fino ad arrivare ad uno strato di terra e poca malta, grigiastro, definito US 6006, interpretato come un battuto relativo ad un piano di calpestio a valle del muro 6001. Si è poi scavato un piccolo saggio di m 1 x 1 circa all’interno di tale strato, nel settore sud, fino ad arrivare alla base di appoggio del muro 6001, che si estendeva in basso mostrando il paramento esterno per quattro filari di blocchetti, ognuno alto circa cm 10-15 (figg. 9-10). Si è poi proceduto ad estendere il saggio in direzione nord-est in un rettangolo di m 1 x 6 circa nel settore adiacente a ovest alla prosecuzione verso N del muro 6001 (fig. 11), il quale incontra un nuovo tratto di muro ad esso perpendicolare, definito US 6009, spesso solo cm 64, che si estende circa m 3 verso nord-ovest fino a sparire sotto l’accumulo di terra che sostiene l’odierna stradina d’accesso al castello. Al di sotto dell’humus, in questa estensione dello scavo, è emerso un nuovo strato di terra (US 6008), formato in parte di minuti frammenti di roccia disgregata del banco naturale, da considerare uguale a US 6003. All’interno dell’angolo tra i muri 6001 e 6009 si è scavato nello strato 6008 un saggio di m 1 x 1, allo scopo di verificare i rapporti tra i muri e il banco di roccia. Si è così constatato che anche qui il muro 6001 è stato costruito mediante un taglio parziale (US 6010) del banco di roccia (US 6011) e il suo riempimento, che sembra ancora 6008. Lo scavo del saggio ha mostrato che il muro 6001 si appoggia in profondità per circa m 1 fino al banco di roccia, come il muro 6009, mentre il taglio risulta riempito da US 6008 (fig. 12). Nell’area S del saggio 1, si è proseguito lo scavo con un saggio di m 1 x 1 circa all’interno della US 6002, sotto la quale sono emersi alcuni frammenti di tegolame nello spazio compreso tra il taglio 6004 e la roccia naturale, ricoperti da uno strato di terra e pochi frammenti di tegole, che viene quotato e rimosso, e poi un vero e proprio strato di crollo composto di tegole fratte di età medievale, caratterizzate da vacuoli dovuti alla paglia contenuta nell’impasto (fig. 13). Sembra dunque che prima della messa in opera del getto di malta US 6002 sul luogo si trovasse un crollo di tegole, da attribuire ad un edificio di età medievale precedente. Poiché anche US 6003 ha restituito ceramica medievale, tra cui un frammento di ceramica invetriata verde, possiamo ipotizzare che il crollo 6013 si attribuisca ad una fase dell’abitato precedente alla costruzione del muro 6001. Paolo Barresi 87 CONCLUSIONI Dal matrix delle unità stratigrafiche scavate nel saggio 1 (fig. 14) si può notare come l’area scavata sia stata interessata da almeno due fasi cronologiche: una più antica che coinvolgeva il crollo di tegole US 6013, conclusa con la ricopertura mediante una gettata di malta, e un’altra successiva che, tagliando tale strato di malta, ha visto la costruzione di una lunga terrazza (di cui sono noti finora solo i muri sud ed est, 6001 e 6009, mentre il muro ovest risulta quasi parallelo allo strapiombo e non agevole da scavare o pulire). La circostanza che lo strato US 6005 (riempimento della fossa di fondazione del muro di terrazzamento 6001) era composto, almeno nella parte più alta, da blocchetti simili a quelli di cui è composto lo stesso muro 6001, ancora con tracce di malta attaccata, fa pensare che tali blocchetti – che non risultano in posizione di crollo, ma appositamente adattati nello spazio tra il muro e la roccia naturale – derivino da costruzioni precedenti crollate, forse anche da un più antico muro di terrazzamento (coevo al crollo di tegole?) che si trovava nella stessa posizione. I reperti recuperati provengono solo dagli strati relativi alla terrazza, mentre lo strato riconducibile al crollo più antico è stato solo localizzato e non scavato. I frammenti ceramici di ambedue le fasi sono comunque medievali, ma mentre la terrazza potrebbe riferirsi allo stesso periodo del castello dei Ventimiglia, il crollo di tegole andrebbe assegnato a un periodo precedente, dunque normanno o svevo; solo la prosecuzione dello scavo potrebbe però dare una risposta definitiva. Se si tenta di collegare questi ritrovamenti con l’ipotesi iniziale, occorre certo ammettere di non aver trovato alcuna traccia di fondazioni pertinenti ad un eventuale angolo sud-est del castello, crollato prima del XIV secolo; tuttavia si è anche chiarita l’origine del muro lungo il ciglio del dirupo, che appare successivo ad un primo intervento nell’area, costituito da un completo livellamento delle fasi di vita anteriori, l’ultima delle quali sembra certamente medievale, anche se non possiamo chiarire fino a quando possa risalire. In questa luce, ci si può chiedere cosa abbia motivato tale intervento precedente: e non si può escludere che sia stato proprio il crollo dell’angolo sud-est del castello. Le curve di livello (tav. 8 in appendice) mostrano in questo settore un brusco cambiamento, rispetto al lato sud adiacente, ossia un pendio meno ripido e più digraMonte Bonifato: scavi nel sito medievale (9-20 luglio 2007) 88 dante: se questo mutamento sia stato causato da una frana che fece crollare tutto l’angolo mancante del castello, non possiamo dirlo; tuttavia in tal caso si potrebbe comprendere come, all’atto della ricostruzione, si sia cercato in una prima fase di spianare l’area, coprendola di malta per evitare ulteriori movimenti del terreno superficiale; e in seguito si sia costruita una terrazza, con il doppio scopo di controllare le strade al di sotto, e di rendere più saldo il costone da questo lato, indebolito dopo la frana e il crollo del castello antico. 

Paolo Barresi

Bibliografia : A. FILIPPI, “Ricerche archeologiche sul monte Bonifato (Alcamo – TP). Le testimonianze medioevali”, Archeologia Medievale 29, 2002, pp. 275-283. 

Le   attività   didattiche   degli   allievi dell’Istituto Tecnico “Caruso” sul Monte Bonifato – Riepilogo della struttura dei progetti

La didattica per progetti nasce alla fine degli anni ‘90 in un quadro complessivo di rinnovamento che coinvolge tutta l’Amministrazione Pubblica, chiamata ad offrire agli utenti servizi efficienti e proficui. Il comma 2, art.1, del D.M. 22.02.99 – Regolamento sull’autonomia scolastica – afferma che l’autonomia scolastica: “si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento”. La scuola dell’autonomia, nell’idea del legislatore, doveva interagire con gli altri soggetti educativi presenti nel territorio e con gli Enti locali e promuovere le attività formative rispondenti ai bisogni dell’utenza, personalizzando gli insegnamenti allo scopo di valorizzare le culture locali. Il “Progetto didattico Bunifat” nacque, in questo rinnovato contesto educativo, dalla cooperazione tra l’Istituto d’Istruzione Superiore “G. Caruso” di Alcamo, retto in quegli anni dal Dirigente Scolastico Prof.ssa Vincenza Romano, e il Gruppo Archeologico “Drepanon” di Trapani, allora diretto dal Dott. Antonino Filippi, con lo scopo di stimolare negli allievi l’interesse verso il patrimonio storico-artistico del territorio locale e più in generale del patrimonio culturale del nostro Paese, ed anche incentivare la cultura del rispetto dell’ambiente naturale. Quali obiettivi trasversali, poi, l’attività svolta si proponeva di far accrescere nei ragazzi l’attitudine al lavoro di gruppo, il senso di responsabilità e quello della solidarietà, nonché di educarli al rispetto di sé e degli altri. Entrando nel dettaglio delle discipline interessate, le conoscenze specifiche che si desiderava far acquisire ai partecipanti erano, per quanto concerne la GEOLOGIA, gli aspetti geomorfologici del territorio siciliano, ed in particolar modo di Alcamo, le problematiche legate alla natura delle rocce ed allo studio dei movimenti gravitativi, gli strumenti basilari del geologo (bussola, carte geologiche); per l’ARCHEOLOGIA, le principali tecniche della ricerca archeologica, e le maggiori scoperte del sito di Monte Bonifato, nonché le fasi storiche fondamentali della Sicilia. Per la TOPOGRAFIA, disciplina curriculare per gli allievi geometri, si aspirava a far meglio comprendere l’uso degli strumenti topografici e le tecniche di rilievo, nonché l’uso degli strumenti informatici per l’elaborazione dei dati rilevati e la rappresentazione grafica; e non ultimo si desiderava far conoscere un altro settore nel quale si potevano applicare le procedure topografiche, viste per lo più in funzione delle sole attività ingegneristiche. 97 RIEPILOGO DELLA STRUTTURA DEI PROGETTI Nel 2008 (Progetto P79 finanziato dal fondo d’Istituto) Dirigente Scolastico: Prof.ssa Vincenza Romano Titolo del corso Bunifat 2008 Totale ore 25 Numero Alunni 10 Modulo di TOPOGRAFIA Docente: Prof. Angelo Vitale Argomenti trattati: rilievo, compensazione e calcolo di una poligonale planoaltimetrica, profilo altimetrico lungo una linea, rappresentazione del terreno con un piano quotato, trasformazione di un piano quotato in una rappresentazione a curve di livello. Modulo di ARCHEOLOGIA Docente: Dott. Antonino Filippi Argomenti trattati: lo scavo stratigrafico, la prospezione archeologica, le principali fasi storiche della Sicilia, le scoperte archeologiche di Monte Bonifato. Nel 2009 (PON C1 FSE 2008 – 1454) e nel 2010 (PON – codice C-1-FSE-2009- 2366) Dirigente Scolastico: Prof.ssa Vincenza Romano Titolo del corso Bunifat 2009 – 2010 Totale ore 50 (2009), 50 (2010) Numero Alunni 24 (2009), 15 (2010) Tutor : Prof. Angelo Vitale (2009), Prof. Benedetto Raspanti (2010) Modulo di GEOLOGIA Docente: Dott. Antonino Bambina (2009-2010) Argomenti trattati: studio delle rocce, studio dei movimenti gravitativi, cenni di tettonica e geologia, descrizione ed uso della bussola da geologo, cenno sulla cartografia geologica geomorfologica, utilizzo delle carte geologiche nella ricognizione del territorio, interpretazione delle foto aeree: uso dello stereoscopio. 98 Modulo di ARCHEOLOGIA Docente: Dott.ssa Arianna Di Miceli (2009); Dott. Antonino Filippi (2010) Argomenti trattati: lo scavo stratigrafico, la prospezione archeologica, le moderne tecnologie per gestire i dati, il GIS, lettura ed interpretazione delle tracce sulle foto aeree, le principali fasi storiche della Sicilia, le scoperte archeologiche di Monte Bonifato. Modulo di TOPOGRAFIA Docente: Arch. Caterina Impastato (2009), Prof. Angelo Vitale (2010) Argomenti trattati: picchettamento dei vertici di una poligonale, rilievo di una poligonale plano altimetrica, cenno sull’uso del GPS, georeferenziazione di una poligonale, il rilievo di dettaglio, l’uso di Autocad ed Excel per il trattamento dei dati rilevati. 

Angelo Vitale 

Le   attività   didattiche   del   Gruppo Archeologico   Drepanon   e   il   Monte Bonifato 

Il Gruppo Archeologico Drepanon, appartenente ai Gruppi Archeologici d’Italia, nasce nel 2006 per iniziativa del Prof. Antonino Filippi e di un gruppo di studiosi e appassionati di archeologia che vivono in diversi comuni delle province di Trapani e Palermo. Attualmente il Gruppo collabora attivamente con le autorità preposte alla tutela del territorio quali Soprintendenza BB.CC.AA. di Trapani, Provincia Regionale di Trapani, Azienda Foreste Demaniali, Amministrazioni locali, Scuole pubbliche di I e II grado. L’attività del Gruppo è rivolta alla conoscenza del territorio attraverso: Il programma di escursioni “alla scoperta della Sicilia antica” Propone la riscoperta del patrimonio archeologico dell’Isola attraverso visite guidate, anticipate da conferenze e proiezioni di foto e filmati, che abbiano un approccio orientato a cogliere soprattutto gli aspetti inediti e le scoperte più recenti del sito visitato. Inoltre, non meno rilevante è la visita di siti archeologici, spesso poco noti al grande pubblico, attraverso la formula del Percorso archeotrekking, dove il visitatore può scoprire, a piedi lungo gli antichi percorsi viari, il contesto paesaggistico e ambientale nel quale il sito archeologico è inserito. La ricerca scientifica con il Progetto Bunifat (fig. 1 e 1a) Il progetto, ideato dal Prof Antonino Filippi, dal 2007 al 2010 ha interessato un’equipe di archeologi, una scolaresca dell’Istituto Tecnico per Geometri “Caruso” di Alcamo ed i soci volontari del G.A.D., con scavi per indagini archeologiche nell’area del monte Bonifato volte a risolvere le numerose incognite relative all’abitato antico e medievale nel corso dei secoli, al fine di giungere alla elaborazione e pubblicazione di questo libro contenente i documenti delle fasi storiche di frequentazione del sito. I reperti archeologici raccolti e catalogati sono attualmente conservati al Museo “Baglio Anselmi” di Marsala. La salvaguardia del territorio con l’adesione alla Settimana della Cultura organizzata dalla Regione Siciliana L’Associazione ha aderito alla “Settimana della Cultura”, dal 2007 al 2012, coinvolgendo gli allievi della Scuola Secondaria di Primo Grado “A. De Stefano” di Erice con attività di alunni “ciceroni” al Castello di Venere ed al Centro Storico di Erice, rivolte ad allievi di altre scuole. 100 Il Progetto “Le Torri rusticane nel territorio di Trapani e Paceco” – Progetto di ricognizione, studio, rilievo e valorizzazione di beni architettonici storici del nostro territorio: le torri rusticane a controllo dell’entroterra dei comuni di Trapani e Paceco Proposto nei primi incontri del Consiglio Direttivo dal Prof. Antonino Filippi e da alcuni soci, il progetto viene stilato dalla scrivente, con il coinvolgimento dell’Istituto Tecnico per Geometri “G. B. Amico” di Trapani, nell’anno scolastico 2012/13, avente durata pluriennale, con la volontà: sia di ricostruire la memoria storica e realizzare la ricognizione delle torri dell’entroterra trapanese attraverso una schedatura scientifica e il rilievo architettonico dei manufatti, per verificare le condizioni in cui versano le torri antiche, molte delle quali inglobate, nel tempo, in altre strutture architettoniche, recuperate o ridotte ormai a ruderi; sia di ricostruire le dinamiche che fanno riflettere sul fatto che molti siti occupati dalle torri siano stati, in età antica, a loro volta sedi di stanziamenti delle popolazioni Elimo, Fenicio-Puniche, Greche, Romane, Bizantine, che si sono succedute in quest’area. Il progetto è rivolto agli allievi del 5° anno dell’Istituto Tecnico per Geometri “G.B. Amico” di Trapani, con la collaborazione di allievi di alcune Scuole Secondarie di 1° Grado di Trapani, Erice, Paceco e di un gruppo di volontari del Gruppo Archeologico Drepanon coordinati dalla scrivente. Il progetto è cominciato nell’anno scolastico 2012/13 con lo studio delle torri di Xitta, Misiligiafari, Misiliscemi e Ponte di Salemi. Nell’anno in corso si stanno studiando le torri di Marausa, Baglio Cuddia, Baglio Ballottella, Baglio Chinea. La divulgazione, con la partecipazione alle Giornate Nazionali di Archeologia Ritrovata (fig. 2) e alla Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico di Paestum Il Gruppo Archeologico Drepanon, in seguito alla campagna di scavi estivi effettuati dal 2007 al 2010, ha proposto alcune attività didattiche nell’area della Riserva Orientata di Monte Bonifato con la volontà di coinvolgere attivamente i giovani e le scolaresche, in particolare, in manifestazioni a livello nazionale, avendo come obiettivo la conoscenza, la valorizzazione, la fruizione e la tutela dei beni culturali del territorio. Le attività proposte e realizzate dal G.A.D nel 2013 sul Monte Bonifato sono stati i convegni e le visite guidate in occasione della 10ª edizione delle “Giornate di Archeologia Ritrovata” sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e con il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Direzione Generale per i Beni Archeologici, sabato 12 e domenica 13 ottobre; tale evento è nato, nell’intero territorio nazionale, con l’intento di “salvare e promozionare quei beni culturali che rappresentano i tasselli più importanti per poter ricostruire la storia del nostro territorio”. 101 Le attività sono cominciate con il raduno all’Ostello Cielo d’Alcamo, nei pressi della “Funtanazza”, di scolaresche (fig.3) appartenenti a Scuole Secondarie di Primo e Secondo Grado della Città di Alcamo (gli Istituti Comprensivi “Bagolino” e “Navarra”, l’Istituto Tecnico per Geometri “Caruso”, il Liceo Linguistico “Allmayer”), che sono state accolte dal G.A.D. in collaborazione con l’A.T.I. “Vivi il bosco” (titolare dei Servizi di fruizione alla Riserva Naturale Bosco d’Alcamo). Gli allievi, guidati dai rispettivi insegnanti, hanno partecipato alla conferenza nella quale abbiamo illustrato le attività del G.A.D. sul Monte Bonifato (fig. 4) e l’importanza della conoscenza di tali scavi e dei reperti archeologici ritrovati. Successivamente hanno assistito alla proiezione del documentario “Progetto Bunifat” prodotto dal G.A.D., realizzato dal documentarista Giovanni Montanti e presentato alla Borsa Mediterranea del turismo archeologico di Paestum. Dopo ampio dibattito, hanno partecipato anche all’archeotrekking e, in prossimità degli scavi, la Dott.ssa Luana Poma ha spiegato le attività di scavo e descritto i reperti fittili ritrovati (fig. 5). Domenica 13 ottobre abbiamo accolto le autorità del Comune di Alcamo, i soci del G.A.D. e molti cittadini comuni. Nella conferenza il Prof. Antonino Filippi (fig. 6) ha illustrato lo studio e le attività di scavo; al termine, lo stesso ha condotto il gruppo nei luoghi dove è stato effettuato lo scavo (fig. 7). La partecipazione dei giovani allievi alcamesi è stata entusiastica, avendo avuto modo di conoscere un luogo a loro familiare e di scoprire come le sue origini siano ancora poco note alla maggior parte degli stessi cittadini (fig. 8). 

Maria Antonina Altese